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16 settembre 2016
Dai, che la prossima estate parte il mio tour“, replico scherzosamente.
Il tuo tour. Mettitela via che per i primi 3 anni un fonico tuo non te lo potrai permettere. Passi il live-set da sola, ma con la band sarà dura. Dovrai occuparti di pagar loro la serata, essendo turnisti. E se giri per l’Italia? Un noleggio furgone. Il booking? Se è bravo riesce a trovarti almeno 20 date, e vorrà giustamente una percentuale. Videoclip di nuovi singoli. Concorsi. Ufficio stampa.
Mettiti in testa che per questi primi anni, se le cose andranno bene, non guadagnerai. Suonando non ci si arricchisce. Ma questo è il mestiere che abbiamo deciso di fare“.

Rasoiata artica. Giusta rasoiata artica.
In studio abbiamo appena registrato le voci definitive di “Ciclista e Palombaro“, forse mi hanno assunta in una scuola di musica.
Dovrei festeggiare e mi viene il terrore. Guido verso casa e per la prima volta in un anno penso di aver fatto una cazzata.

E’ la fatica di un anno in studio. Del km 30 mentre stai correndo in una maratona, come dice Federico.
E’ la stanchezza e il dolore di una malattia sottile e bastarda che mi infastidisce da Aprile e colpisce nei momenti più insoliti.
E’ la randomness di una nuova folle incognita che incombe su me, Stefano e il NoShoesRecording Studio. Un computer rotto, la corrente che salta, le spese improvvise, le sorprese sgradite.
E’ il mio mescolare tutto insieme in un bolo emozionale unico.

Ma scusa, com’è che Levante ha fatto un album in tre settimane e tu ci metti un anno?

Incasso la battuta. Ma francamente un po’ mi rode il culo.
Eppure, mentre guido verso casa, so che Stefano ha ragione.
Che con i dischi non si guadagna abbastanza per fare un album con un budget più alto, che bisogna inventarsi sempre una nuova alternativa per arrivare a fine mese.
Che tutto quello che ho ottenuto con Musicraiser se ne andrà in ufficio stampa, merchandising, bollini SIAE, stampa CD, grafiche, video e foto varie, venderò solo i dischi ai concerti, suonerò e poi partirà tutto daccapo. Lo so.
Che tutto quello che sto facendo non è abbastanza, ma almeno ci sto provando.
Che non potrò rilassarmi dopo le registrazioni perché partiranno i live.
Che sono sola a fare un lavoro di una squadra.
S O L A.
Ma voglio essere ottimista.

“Come va con l’album?”

La domanda più gettonata dell’ultimo periodo.
Spero vada bene. Le ho sviscerate così tanto queste canzoni che ormai ho perso la giusta distanza. Va che dei giorni mi par di non sapere più cantare, sono sotto a una lente d’ingrandimento gigantesca che esalta tutti i miei difetti e mi ripeto ridendo “Ma faccio così cagare?” e dei giorni non riesco nemmeno a rendermi conto di quanto sto crescendo ascoltandomi e riascoltandomi.
Provo a fare cose che non ho mai fatto in dieci anni di lezioni di canto. Francamente? Ci sto provando. Non so se sia giusto o sbagliato. Lo dirà il tempo.
Lo studio è una palestra, sto buttando il meglio che ho.

Di fianco a me, spalla contro spalla, ho un produttore antifragile. Siamo stanchi entrambi, ma ogni volta che torno in studio mi ricordo perché ho scelto di lavorare con lui: perché ha passione, perché non molla, perché è un onesto, nei giorni in cui un take non va, in cui manca qualcosa o bisogna cambiarla completamente e allora partono i silenzi o le bestemmie a scena aperta, nei giorni in cui basta aggiungere un’allegra fischiettata per svoltare un brano o quando senti che fuori cantano la tua canzone.
Se uno allenta la corda, l’altro la tira. E si rimane in equilibrio.

Spesso mi dimentico che la musica è qualcosa di magmatico, lunatico. Il NoShoes è il posto dove ho riso e ho pianto di più. Dove ho amato follemente quello che stavo facendo o ne avevo persino la nausea.

“Questo è tipo il km 30 alla maratona. Ovvero il vero muro. Se passi il km 30, poi chiudi i 42. Tutti si piantano attorno al 30. Ora tu sei allenata, e sai bene che la fatica è molta. Magari rallentando un attimo, non mollando, la maratona la porti a casa”

La solitudine colpisce le persone che meno la meritano nei momenti in cui meno la meritano. Ma quando la vivi capisci una cosa: che non sei la sola a provarla in quell’istante.
Non vi dirò che è una vita facile, ma è la vita che mi rende libera.
E’ rischiosa la vita di chi non si accontenta e non ci si racconta palle? Hai voglia.
E’ sempre meglio dell’anno prima, in cui ero in un ufficio, in una casa, in una città in cui credevo di stare bene? Sì.
E’ stata un’estate pazzesca, in cui ho suonato-visto cose-conosciuto gente più che ho potuto? Diamine, sì!
Siamo in ritardo con l’uscita? Oh, sì. Ma uscirà come vogliamo.
E allora.
Le cose belle hanno bisogno di tempo.

Epilogo.
Il prossimo album vorrei farlo dark. I bassi alla Joy Division, la batteria elettronica, flanger, chorus, delay. Ho già in mente le atmosfere“.
“Allora bisogna ascoltare i She Wants Revenge. Sonorità dark-wave ma in chiave moderna, evitando di fare alcune merdate indie che si vedono in giro oggi”.
“Oh, bisogna finire questo e già parlo del prossimo. Ho dei problemi seri”.

Sì, è la verità. Sono malata in testa, non sono normale.
Voglio finire questo disco. Ho vive speranze che possa piacere. Penso al prossimo album.
Una che ha l’evidenza davanti agli occhi eppure vuole continuare a suonare in Italia non è normale.
Eppure.
Pazza e recidiva.

“Ma la cazzata l’ho fatta l’anno scorso quando ho iniziato Antifragile o prima?”.
Mi rispondo da me.

[Ph: Matteo Sandi]

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