PDV – Punti di vista

“PDV – PUNTI DI VISTA”
Un reading sul mancarsi

di e con Elisa Bonomo (2016)

[NOTA: Quando ero piccola ero ossessionata dal fatto che forse non avrei mai incontrato la mia anima gemella. Perché le persone che si sposano abitano tutte vicine? E se la mia anima gemella fosse in Brasile e non lo sapessi? Esiste davvero l’amore a prima vista? Come faccio a capirlo?
Lo capisci, bestiola. Buona lettura!]

[La foto in evidenza è di Claudia Calderone]

Aveva letto da qualche parte che la musica classica diminuiva le aggressioni nei luoghi pubblici. L’articolo sosteneva che le rapine in Stazione Centrale erano scese di almeno la metà da quando avevano messo un pianoforte a coda fuori dal Binario 1, proprio di fronte al bar dove Lei serviva caffè.

Ne vedeva di gente sedersi al pianoforte. Li scorgeva solo di spalle, ogni giorno. Non potendoli vedere in faccia, aveva cominciato a riconoscere il tocco forestiero del viaggiatore occasionale da quello del suonatore abituale. A orecchio sapeva distinguere la mano nervosa del Vecchio che strimpellava qualche ballata popolare, del Bambino impacciato alle prese col primo Mozart, della Signora Ingioiellata che puntuale si presentava alle una di ogni giorno.

Ma stavolta era diverso.

Si era seduto e sembrava nervoso, in silenzio. Per un momento parve alzare la testa.

Poi iniziò.

Ci si può innamorare così impunemente di un paio di mani?
Così spudoratamente di una schiena?
Così improvvisamente di una nuca?

Sì.

Sembrava tutto così semplice, e al tempo stesso inconcepibile.

Amava suo marito, ma se in quel momento Lui si fosse alzato e le avesse chiesto di scappare con Lei, Lei… l’avrebbe seguito.

*******

Stava tornando dall’ultima tournée in Brasile.

Tutto gli sembrava ormai meccanico, definito, senza segreti.

“Il Virtuoso Polacco”.

Come poteva essere che la Musica per lui fosse ormai tutta scritta? Senza alcun tipo di sbavature, emozioni incontrollate. Senza più un briciolo di libertà?

Come poteva essere così tutto prevedibile, stancante, senza un’anima d’istinto?

Ad un tratto vide un pianoforte. In mezzo alla stazione.
E gli sembrò bello per una volta trovarsi fuori posto.

Lo sgabello era vuoto. Si avvicinò.

Sistemò la seduta e si sedette.

Prima di toccare il pedale espressione con il piede destro e appoggiare la mano sinistra su un do diesis minore, avvertì qualcosa alle sue spalle.

Intorno a Lui qualcosa vibrava.

Alzò per un attimo la testa.

Capì che Lei era lì. E lo stava ascoltando.

Sole e vento al tempo stesso.

Suonava e con la coda dell’occhio poteva intuire la sua sagoma, nulla di più. Più suonava e più si rivelavano il taglio dei suoi occhi, il tono della sua voce, le fossette che le si disegnavano a ogni suo sorriso, lo scroscio della sua risata.

E capì che l’amava, e che ormai niente sarebbe stato lo stesso.

Esisteva. E Lui l’aveva trovata.

Suonava come non aveva mai fatto in quegli ultimi anni, come se il tempo fosse lungo, eterno, e capì e ritrovò la ragione del perché aveva imparato a suonare, per rendere il tempo uno spazio fatto di pù mondi possibili a clessidre trasversali dove potersi rifugiare, dove c’erano Lui e Lei per uno spazio infinito, fatto solo di uno scopo essenziale, fatto di suoni, parole e l’ascolto di Lei.

Si incontrarono e si amarono lungo passi neri e passi bianchi, circondati un cielo a scacchi, lungo un fiume infinito.

Era proprio Lei, al suo fianco, l’Ascolto, che rendeva la musica ancora più bella, la passione sui tasti ancora più vivida, più emozionante.

*******

“Questo cappuccino arriva sì o no?”

Non si era resa conto che stava con il bricco del latte caldo in mano e lo stava ancora fissando.

Ma ai clienti poco importa di un amore appena sbocciato. Lo stava aspettando, in attesa di incontrare il suo sguardo, era l’unica cosa che poteva fare.

“Ah sì, ecco. Mi scusi”

“3 cappucci, poca schiuma, non troppo caldi eh, che l’altra volta mi sono pure scottata, giovane

3 piattini, cucchiaini, due giri di macchina, vapore, caffè pronti, schiuma. Poca.

“Pronti”

(Non andartene-non andartene-non andartene-non andartene)

Alzò la testa. E Lui non c’era più.

Siamo strumenti, come queste corde di pianoforte. Vibriamo insieme nella stessa precisa frequenza.

Ne convenne che l’amore era una questione di tempi.

“Merda. Sono veramente fottuta”

******

Sapeva che doveva finire, andarsene. Ma prima doveva vederla, voleva incontrare il suo sguardo, era l’unica cosa che poteva fare.

L’ultimo accordo tenuto, l’applauso degli astanti. E poi i suoi occhi si diressero verso di Lei.

Stava girata verso la macchina dei caffè.

Siamo strumenti, come queste corde di pianoforte. Vibriamo insieme nella stessa precisa frequenza.

“Maestro, maestro! Che cosa sta facendo ancora qui? Il taxi l’aspetta fuori!”

Sostenne più che poté lo sguardo. Finché la perse, trascinato fuori dal suo assistente.

Ne convenne che l’amore era una questione di tempi.

“Merda. Sono veramente fottuto”

L’arte di lasciarti andare

“Il cuore ha una capacità di amare infinita… E’ che molto spesso la gente lo dimentica”

“Vedi Eli, ti conosco da molti anni. E sei una che si fa sempre un sacco di domande. Il tuo lavoro ti spinge a fartele, come pure la vita. Ecco, io credo che il tuo lavoro ti spinga a vivere una vita incredibile, ma attorno a questo tuo perno penso che ruoti il tuo senso”

Ho fatto l’ultima data di Antifragile con il magone di chi lascia andare una persona amata per un po’ di tempo, dopo averla conosciuta, aspettata, odiata, maltrattata, abbandonata, ripresa, riscoperta, riamata, apprezzata e rispettata.
Sono partita con questo blog qualche anno fa, quando qualcuno mi disse che parlare di me sarebbe stato pornografico, e invece è stato il mio più grande successo.
Mancava solo il capitolo finale di una storia lunga più di due anni.

Due anni incredibili che se mi guardo indietro mi hanno fatto toccare con mano cose che nemmeno avrei immaginato all’inizio dell’avventura, io, quella ragazzina con i capelli ricci che aveva lasciato il lavoro da social media manager e si disperava per un reddito precario.
Io, che imparavo e rimanevo incantata a vedere come le mie canzoni diventavano qualcosa che poteva somigliare alle canzoni che passano per radio.
Io, che dall’alto di tanti tetti crollati ho tenuto “Antifragile” stretto stretto, e me lo son portato avanti.

Il Piccolo (e lo chiamerò sempre così) ha fatto tanta strada, più di quanta immaginassi. E’ stato tanto amato e sostenuto, più di quanto pensassi.
Il Piccolo mi ha portato a misurarmi con me stessa e con gli altri più di quanto potessi sostenere, a volte mi ha letteralmente schiacciata, ma come dice Bowie… “Se sei capace di resistere a un tour puoi resistere a tutto”.

Credo in maniera assoluta e totale che fare dischi mi aiuti a diventare volta dopo volta un’artista e una persona migliore. E riascoltando “Antifragile” sicuramente qualcosa la cambierei. Ma globalmente, e onestamente, mi ridico che di lui sarò sempre felice. Perché è un disco onesto, e ha rappresentato il mio 100% in quel periodo.
Mi ha permesso di vedere quello che volevo essere nel disco successivo, e quello che non avrei voluto essere più… E l’esercizio più bello, oltre a volerlo, è stato quello di lasciarlo andare dopo due anni di live.

Perché non potevo continuare a riproporre una fotografia di un’Elisa che sicuramente resterà dentro di me – perché antifragili si rimane sempre – soprattutto per rispetto a una nuova Elisa che sgomita, in attesa di avere voce e tempo per poter realizzare Sinusoide.

Sinusoide, sì.
Come avete capito, adoro i concept album. Ma proprio perché adoro i racconti, i fil rouge, i film con il finale ciclico. Sinusoide sarà un disco ancora più personale di Antifragile, e ce ne vuole.

“Bru, con questo disco ho paura di fare male… Che cosa dicono le carte?”
“Le carte dicono di andare… E’ nella tua natura raccogliere segreti. E’ nella tua natura affrontare ostacoli”

Per Aspera ad Astra… Continuo a dirmi.
Ho in mano una decina di canzoni, una metà cattivissima, una metà eterea.
Incompatibili ma perfettamente simmetriche.

“Io non so di cosa ti vuoi meravigliare… Sei sempre stata due cose insieme. Con occhiali o senza occhiali. Elegantissima o maschiaccio. Euforica o silenziosa. Credo che se non sei in grado di scegliere tra le due sponde… Ti conviene scegliere il fiume”

Mi conviene scegliere il Fiume.

Succede che durante il tour di Antifragile mi innamoro. Perdutamente. Impossibilmente.
Ma mi innamoro come non mai.
Mi innamoro della persona più sbagliata del mondo e questo amore fiorisce, e con lui me stessa. Cerco gli interruttori per spegnerlo, questo amore, ma per quanto schiacci compulsivamente il tasto OFF il mio cuore mi porta sull’ON.
Così, per giorni, mesi, anni addirittura.
Ed è difficile spiegarlo a me, figurati spiegarlo a chi mi sta intorno questo meccanismo, questo loop che si stoppa e riparte, questo amore fiorisce dentro di me in silenzio, morendomi spesso in gola.
E come in tutte le cose in cui ti trovi per la prima volta, un po’ come una beta tester di una situazione impossibile ma allo stesso tempo viva e reale, o decidi di soccombere o decidi di affrontare la situazione senza fare troppi morti né feriti.
Ho scelto di essere grata a questo amore impossibile.

E ho scritto.
Ho scritto tutto quell’amore che non ho potuto vivere ma solamente sfiorare, mi sono fatta tante di quelle foto per ricordarmi chi ero, che cosa meritavo e non meritavo, solo per non cedere all’ossessione, alla paranoia, allo sconforto che un amore nascosto può darti.
Per ricordarmi che quando ci si innamora è sempre una rivoluzione, una benedizione, ci si innamora anche di noi stessi, e io, giuro, erano anni che mi non innamoravo così di me.
Ho tenuto il cuore aperto, anche se è stato doloroso e a tratti straziante. Ho tenuto il cuore aperto e una testa sempre vigile, lucida e consapevole che mi ha permesso di vivere e di non attaccarmi troppo a quello che non avevo, ma a quello che avrei potuto avere.

E così, un bel giorno, quando ho toccato quel fondo che non credevo mai di raspare e le testuali parole “Non posso star più male di così” ho cominciato a non vivere più la vita degli altri, a prendere lentamente tutte le parti più belle di me e a staccarmi, andare lontano, scrivere… A vivere, sempre e comunque.

Ho deciso che farne un disco fosse il miglior modo di non dissipare tutto. Di dargli un senso, una nobile ragione, una sua forma di giustizia e giustificazione, creando un mondo dove qualche cosa era esistito veramente e non era stato vano, che era valso a qualcosa.
Dove quell’amore non sarebbe mai andato perso.

Ecco a chi sarà dedicato Sinusoide: a tutti quelli che amano e non lo possono dire. O non riescono a dirlo.
Vi abbraccio,

Eli