4×01 “Sabotaggi”, Antifragile

Se dovessi scegliere un verso che mi rappresenta di più nell’album in lavorazione, sarebbe sicuramente “Lorenzo, o come tutti dicean Renzo/ studiava di notte con l’ansia/ di non essere mai abbastanza”.

A parte il riferimento ai Promessi Sposi del trio Lopez-Marchesini-Solenghi di cui sono letteralmente malata (un altare ad Anna Marchesini, subito), “Renzo e Lucia” è la storia dei due personaggi manzoniani trasportati al giorno d’oggi. Mi sono domandata: come potrebbero vivere? Che mestiere potrebbero fare? Chi sarebbe il Don Abbondio della situazione? E soprattutto, vorrebbero ancora sposarsi al giorno d’oggi?

Nel mio testo Renzo è un “jazzista di un certo livello e modesto impiego” (fa due lavori, cassiere in una pizzeria e garzone in una salumeria) mentre Lucia è “ballerina di seconda fila” che per arrotondare fa la commessa. Vivono in un piccolo appartamento e sono troppo impegnati a sopravviversi per capire se si amano davvero. Sono due persone che vogliono/volevano intraprendere una carriera artistica, ma nell’attesa di sfondare si sono trovati un’occupazione diversa da quella che desideravano.

Non ho voluto esplicitare per quale motivo i due non riescano a guadagnarsi da vivere rispettivamente come musicista e ballerina, i motivi sono molteplici, dalla sfortuna a difficoltà di varia natura, al motivo che preferisco in questo periodo.

Renzo e Lucia sono due SABOTATORI. Un po’ come me.

“Sopra o sotto?” (cit.)

Avete presente il film “Inside Llewin Davis – A proposito di Davis” dei fratelli Coen? Per chi non l’avesse visto racconta la storia di Llewyn Davis, musicista folk di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile. Davis è un antieroe puro come tanti altri personaggi dei Coen, non passa ai provini perché non è un leader, tergiversa, si vede sfilare davanti colleghi che reputa meno bravi di lui.
Anche Llewyn Davis fa parte della grande categoria dei SABOTATORI. Scappa, sceglie di non scegliere.

Ho sempre promesso di essere estremamente sincera sul come mi sento in questo periodo. In queste settimane mi sono fatta prendere letteralmente dal panico, influenzare da migliaia di fattori esterni. Dal fatto che non ho un’etichetta discografica, che non ho un booking, che dovrei fare più gente ai concerti, che non ho network etc.etc. E spesso faccio così: parto con grande entusiasmo e poi quando le cose cominciano a farsi tangibili comincio a vedere in ogni occasione un ostacolo, una difficoltà, qualcosa che mi farà stare male. Mi spavento.
Il mio istinto di autoconservazione comincia a pensare che le cose sono sempre più difficili di quello forse sono, che devo prepararmi al peggio. Ho paura di sprecare tempo e fiato, e il paradosso è che nel momento stesso in cui lo penso sto effettivamente sprecando tempo ed energia in questo tipo di macchinazioni.

Da “La paura più grande” post lungo sul blog di Zerocalcare, uscito il 7 Aprile 2015

Sono una SABOTATRICE quando scelgo di non scegliere. Quando devo per forza complicare il gioco. Quando opto per una cosa che non mi piace, perché posso spartire il mio fallimento con la costrizione sociale. Ed è molto più facile.

Con Stefano siamo a 5 brani su 13 pre-prodotti. Nel gergo dei musicisti la pre-produzione è come la brutta copia di un tema: dopo aver messo a posto la struttura della canzone cominci a capire che ritmo potrebbe avere la chitarra, che groove la batteria, il basso. Si sgrezzano gli arrangiamenti.
Ho passato due giorni tentando di vedere il marcio anche lì. E poi mi sono accorta di una cosa: giorno dopo giorno, Stefano butta giù le batterie e i bassi e mi faccio contagiare dalla sua esperienza e bravura. Comincio ad avere idee sugli arrangiamenti, una visione d’insieme che mi mancava. Sulle batterie, io che con la ritmica non sono mai andata d’accordo, ma robe brutte tipo che a momenti non so cosa sia una cassa e un rullante (buuuh).

Tra tanti aspetti, due cose in musica ti fan capire se sei cresciuta: se riconosci gli errori tecnici e se cominci a “sentire” quello di cui prima non ti accorgevi. La crescita è accorgerti di quello che prima non percepivi.

Mi sono resa conto di essere una SABOTATRICE. Ho tanti amici come me, e strano a dirsi, sono le persone più intelligenti e dotate che io conosca. Sono persone che hanno grandi difficoltà ad amministrare la loro forza, e si perdono. Che spreco, direbbero i più.
Io no. E’ estremamente difficile andare contro noi stessi, ma riconoscerlo intanto è un bel primo passo. Buttatelo fuori, fate un bel coming out e poi prendetevi un bel gin tonic con un amico. Che di gente-ruspa sgrammaticata ne è pieno il mondo, ma voi servite veramente a qualcosa.

Perchè per essere musicisti bisogna essere forti

Ho provato tante volte a chiedermi perché mi piaccia fare musica. Nonostante mi faccia soffrire come un cane e mi faccia fare una vita che la clausura in confronto è uno Spring Break. Perché diciamolo, essere musicista non è una passeggiata.

“Devi essere forte”
E’ vero, l’artista è fragile, perché l’esigenza di fare arte nasce da una mancanza. Ma il termine non deve essere scambiato con debole.
Perché devi essere forte? Enucleiamo insieme le varie fonti di disagio.

Per palati trash finissimi.

1- La GGENTE

Come può la base principale dei tuoi guadagni futuri essere fonte di cotanti problemi?
Attenzione, ho detto GGENTE, non Persone.
La GGENTE solitamente non è dotata di tatto, intelligenza e un minimo di empatia.
La GGENTE è composta da individui insoddisfatti e delusi dalla loro esistenza che senza colpo ferire scaricano su di te le loro invidie, rancori e stupidità. Live o in podcast. Telematicamente o con coltellino a serramanico.
Solitamente la GGENTE è quella che non viene mai a un tuo concerto, non ha mai ascoltato una tua canzone anche per sbaglio, non ha mai visto un tuo videoclip nemmeno di spalle (sia mai comprare un tuo album!), è in pole position sul divano quando parte un talent e sa sempre regalarti le parole giuste. Sa se sei troppo giovane o troppo vecchio. Sa se sei bravo o no. Sa tutto.
Certo, la sua visione della discografia dietro a uno schermo sgranocchiando delle Cipster sicuramente è molto più attinente della tua che stai a sbatterti per trovare date nei locali. Già già.
Ah, loro sono quelli che solitamente dicono “Sì ok musicista, ma che lavoro fai?” o “Ma non è un lavoro serio, non guadagni“. Gettonatissime nei loro discorsi da jet set mondano a Roccella Jonica.

Loro ti osservano. (Vedi foto successiva).

2 – LA SOCIETA’ ODIERNA

Una società stessa che considera la cultura una pezza da piedi svaluta tutto l’indotto ad essa collegata. In Italia esistono pochissimi esempi di luoghi nati esclusivamente per fare concerti, figuriamoci quelli rock. I concertoni grossi? Stadi e palasport. Non propriamente la prima destinazione d’uso, per capirci.
Non andiamo poi nel piccolo, pub con l’acustica di un gabinetto in Autogrill e palchi tenuti su con due bimattoni. Ero presente.
I locali che chiudono, l’assenza di palchi medi.
Le proposte delle radio commerciali? AHAHAH.
Non parlo della SIAE perché sarebbe circonvenzione d’incapace.


E’ accaduto davvero.

3 – GLI ADDETTI AI LAVORI

Etichette discografiche, promoter, agenzie di booking, agenzie di comunicazione, tour manager, produttori, fonici, etc. a volte improvvisati senza nessun tipo di background/formazione adeguata. La Qualunque può dichiararsi “production sound mixer” senza saper nemmeno sapere accendere un sound mixer.
La Qualunque può dichiararsi ufficio stampa mandando qualche e-mail a delle webzine chiedendo di recensire il disco del loro pupillo. Fanno 2000 euro, grazie.
Talent scout che ti contattano via Facebook dicendo “Io posso aiutarti, ho una villa in Sardegna, vieni a farmi compagnia“.
I concorsi canori con 150 euro di tassa d’iscrizione con giuria di qualità che se lo vinci fai Castrocaro-Sanremo in meno di due ore. Vitto, alloggio, viaggio tuo e della giuria di qualità a tue spese.
Soldi spesi -> tanti. Soldi guadagnati e visibilità -> zero.

L’unico concorso per cui andrei in rosso.

4 – I MUSICISTI

Quelli bravi ma inaffidabili e incapaci di interagire con la vita vera. Quelli mediocri che prendono una critica costruttiva come un’offesa alla madre e non ti rivolgono più la parola. Quelli che pacconano a 15 minuti dal concerto, quelli che se c’è un problema che ti riguarda ovviamente non te ne mettono al corrente ma esternano i loro malumori con tutti gli altri del gruppo ad eccezione di te. Quelli che “ti faccio sentire un pezzo mi dai un parere?” e non rispondono o ti arrubbano l’idea. Quelli che stai registrando l’album con relativa promozione e scappano a Londra senza avvisarti dopo 5 anni di intensa collaborazione. Quelli che non ce l’hanno fatta per qualche motivo (il più delle volte per colpa loro) e nell’attesa della loro grande occasione di rivalsa cercano sempre salire nel carretto dei vincitori. Quelli che si fanno molti selfie mentre tu cerchi di sistemare una canzone. Quelli che se ti va bene non rispondono più alle tue chiamate di punto in bianco (ma il loro status su WhatsApp e Facebook è perennemente online), se ti va male riescono pure a spillarti qualche soldo.
Per ogni celebrità ce ne stanno cento nell’ombra. Che solitamente rosicano.

Ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavalette, non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!

5 – TE STESSO
Sei anche tu un musicista e sei pieno di paranoie. Spesso non fai mai abbastanza, devi fare di più, non suoni bene, non canti bene, non sei mai stato in grado di fare il tuo lavoro, non sei più in grado di scrivere, hai perso l’ispirazione, è colpa tua, è colpa degli altri, è colpa dello Stato, hai finito i soldi, hai il male di vivere, hai paura di essere felice perché hai paura di perdere la tua vena poetica, non ti senti capito, ti hanno messo pochi like sul video, hai avuto una giornata in cui hai dovuto interagire con la GGENTE, la SOCIETA’ ODIERNA, un ADDETTO AI LAVORI e un MUSICISTA.


Io in un momento di concitata euforia.

Sì, tante volte mi sono chiesta perché non potevo nascere con la voglia di mettere giù piastrelle o saldare tubi. Non ho scelto di essere una musicista, ci sono nata. E come tutte le cose che ami ha i suoi lati negativi (non che fare la social media manager mi abbia regalato alcune chicche come “questa pagina Facebook la gestisce meglio mio nipote gratis” o “vorrei una foto profilo che si illumini a intermittenza“).

La cosa che si avvicina di più a quello che provo quando faccio musica è paragonabile a quando ti innamori follemente di qualcuno e senti che lo stai per perdere. Allora sei disposta a viaggiare in treni sporchissimi e sovraffollatissimi, a prenderti pioggia, vento, neve, a usare i cessi dei locali come camerino per vestirti e truccarti, saltare pasti, dimenticare di idratarti, dormire poco e male, ammalarti, andare in miseria. Perché? Razionalmente tutto sembrerebbe una cazzata.
La musica è l’unico posto dove sto al sicuro (cit. Licia Missori), dove sto bene. I raggi gamma dei talent, della ggente, della società odierna, degli addetti ai lavori, dei musicisti, di me stessa arrivano sempre. A volte rimbalzano sotto lo scudo delle parole di amici musicisti seri e sinceri, a volte colpiscono e fanno tanto male.
Solo che c’è una cosa che chi non è innamorato non capisce: non si può vivere altrimenti.
Io ti amo, Musica.

3×01 “Domani inventerò”, Antifragile

“Ai confini della noia, ci sono tonnellate di idee. Io non guardo la tv, non gioco con gli amici. Lascio semplicemente che il tempo scorra”

1 giugno 2015

Padova, esterno notte. Terrazza di un grande palazzo. Campo lungo. Si intravede in controluce una ragazza  seduta per terra appoggiata ad muro.
Controlla il telefono, osserva il cielo in lacrime.
Una chiamata persa. E’ Chiara, anima affine. Stessa indole, stesse paranoie, stesso modo di vedere le cose.

Nello stesso momento

Città imprecisata, esterno notte. Particolare su una mano che infila una chiave in una toppa. Si allarga l’inquadratura e si vede un uomo di spalle, un po’ ricurvo. PP sul suo volto: lo sguardo è un misto tra il dolente e il rassegnato.
“Chi cazzo me lo fa fare? Qua chiudo tutto”

25 settembre 2015

“Siamo riusciti a buttare giù tutte le chitarre guida, ad eccezione di questo pezzo. Come l’hai accompagnato suona bene, ma sarebbe un arrangiamento troppo scontato… E mi sto scervellando da giorni per capire che carattere dargli per non cadere nel banale. La cosa bella di questi momenti d’impasse è che poi l’intuizione arriva tutta in un botto”
“Speriamo”

1 giugno 2015

“Ohi, ti ho chiamato e scritto prima… Esci stasera?”
“Nel credo di essere nel mood adatto, Chiara…”
“Ehi, che c’è? Qualcosa che non va?”
“L’album non si fa… Sono… Non riesco mai a costruire niente. Distruggo sempre tutto. Non faccio altro che allontanare le persone. Non ho più una casa! Non so che lavoro fare e adesso pure questo album non si fa. Non so cosa voglio, o meglio lo so ma mi cago addosso. Ci ho provato un sacco di volte a ripartire, ma ogni volta succede sempre qualcosa e non ce la faccio più Chiara, credimi. Ogni volta si aggiunge sempre qualcosa, e sono stanca. Non ho più forze, questa cosa della casa mi ha letteralmente prosciugata”
“Dai, vengo subito. Dove sei? Passo”
“No, ti prego. Mi conosco, non sarei in grado di parlare”
“Sicura?”
“Sicura”
“Ok… Allora stiamo un po’ al telefono… Prima cosa: cosa mi dici sempre tu? Una cosa alla volta. Nel bene e nel male le cose si risolvono sempre.

La ragazza fissa il cielo. La voce di Chiara è ferma e decisa. Se avesse avuto un bisturi in mano, in quel momento avrebbe eseguito un’incisione perfetta

So che non posso fare e dire nulla per risolvere i tuoi problemi. Ma posso raccontarti una storia. Oggi sono passata in libreria e ho letto un libro per bambini. Si chiama “Domani inventerò” ed è la storia di un orso blu che deve fare un sacco di cose ma le rimanda sempre a domani, perché… Perché ha paura, non ha tempo, insomma si dà un sacco di giustificazioni. E alla fine dice

“Al confine di ogni confine c’è l’ignoto. Se salto, dove andrò? E se c’è qualcosa di brutto? O di sbagliato? E se c’è qualcosa di nuovo?”

Volti pagina e

Spoiler title
l’orso diventa giallo. Finalmente non rimanda a domani, salta.
Credo che la cosa migliore sia decidersi a saltare. Vivere comunque. Sì, è un periodo di merda. Ma per quanto lungo è circoscritto, Eli. E succederà ancora? Sì. Ma sarai cambiata tu, e lo affronterai in maniera differente. So che saprai sistemare le cose.”

Sistemerò le cose.

Ricordo esattamente cos’ho fatto dopo. Mi sono alzata in piedi, sono scesa e mi sono messa a letto.
“Domani inventerò è la metafora della vita artistica. Ogni giorno si deve inventare per vivere. Ci si sente bene solo quando si crea. Cosa potrei fare se fossi felice? Se non posso esserlo, almeno lo immagino”.

Ho preso il mio blocco appunti e ho scritto i primi versi

Non mi sdraierò mai più sul letto / Non piangerò al pensiero che mi sto perdendo tutto
Domani inventerò / Avrò una casa al mare / Avrò da lavorare / E scriverò canzoni allegre / Domani inventerò… Sistemerò le cose
Giovanni Ribisi, non ti voglio mortificare, vergognati (cit.).

1 ottobre 2015

Domani inventerò” ha trovato la sua chitarra guida, merito anche di Cat Power. E’ un testo importante. E’ dedicata a tutte le persone che hanno un’idea di giustizia impossibile nel mondo in cui vivono e si rifugiano nell’immaginazione. Alle persone oneste e baciate dalla sfiga che ogni giorno cercano di vivere con i frutti della loro inventiva. A chi è si è smarrito. A chi si sente (o si è sentito) solo, inadatto, impotente.

Domani inventerò” è un bellissimo libro di Agnese de Lestrade illustrato da Valeria Docampo. Leggetelo: la seconda cosa che farete è procurarvi subito dopo “La grande fabbrica delle parole”.

C’è un paese dove le persone parlano poco. In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele. Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio. The story of my life, insomma.

Ogni volta che mi sveglio e penso a come guadagnarmi da vivere, ogni volta che una cosa non va, ogni volta che mi sento derisa o incompresa  ogni volta che un acuto non parte o perdo il tempo, ogni volta che non posso esserci, ogni volta che una frase mi esce sbagliata, o per troppo amore non riesco a pronunciarla, penso che il mio emisfero destro mi aiuterà. Me lo ripeto in testa: sistemerò le cose.