Il dolore degli altri

PREMESSA:
Ci ho pensato bene prima di scrivere questo articolo, il rischio di suscitare pietà o un certo tipo di pornografia sentimentale è molto alto quando si parla di disturbi depressivi.

Eppure lo faccio per quella grande fetta di lettori che, come me quando stavo male e non ero in grado di esprimermi, hanno trovato un po’ di se stessi nelle parole degli altri.

Il mio racconto sarà un po’ sparso, un po’ deviato, come tutti i pensieri che faticosamente ho raccolto dalla loro forma stropicciata e ho piegato, e cercato di mettere vicino alla parole di chi mi è rimasto vicino in questi mesi.
Buona lettura!
Elisa

“Il dolore degli altri”
Sai, il dolore degli altri fa sempre un po’ paura. Non sai come toccarlo, non sai come affrontarlo. Resti sempre a guardare e non sai se fare un passo indietro o un passo in avanti.
Ho pensato spesso a questa frase di Chiara in queste ultime settimane.
A quanto dolore abbiamo provato tutti noi, per una situazione o per l’altra, a quanto siamo stati messi alla prova.
A quanto vorremmo dirci l’un l’altro che ci vogliamo bene, che ci siamo, ma magari non riusciamo ad esserci come l’altro vorrebbe, o perché siamo impegnati in una battaglia di cui pochi o nessuno sa, o semplicemente perché la vita ci ha induriti, anestetizzati, stancati.
Perché dichiarare il dolore in questa società ci rende vulnerabili, fragili, incompresi da chi appunto, il dolore dell’altro non lo vuole vedere e lo minimizza, lo caccia, lo ridicolizza.

Mentre scrivo do uno sguardo a Viviana, una ragazza eccezionale.
La fisso, e mi sorride, bellissima nel suo abito celeste.
Viviana non c’è più e non ho memoria di una volta in cui non mi sorridesse con ogni parte del suo corpo: con gli occhi, con la voce, con le mani.
Aveva una luce bellissima, le ho voluto molto bene e la sua foto l’ho messa nello studio, circondata dai libri di musica, di lezioni di allievi, dei miei strumenti musicali, dalle note “Vivere” di Vasco Rossi che tanto stiamo suonando in questi giorni.

Mi hanno chiesto di cantare al suo funerale, alla fine, e io ho fatto il mio meglio, anche se avevo la voce strozzata, emozionata, liquida e raggrumata.

Ho letto da qualche parte che il canto e la musica, prima di essere portati a una dimensione elitaria, era alla portata di tutti, era una preghiera, un’elevazione dal quotidiano per sollevare lo spirito.
E’ stato in quel momento ho pensato che non si sfugge mai alle proprie vocazioni. Come dice Silvia Magnani, le vocazioni appaiono un po’ prima dell’adolescenza, noi già da piccoli sappiamo benissimo cosa fare. Il calciatore, la suora, il prete, il cantante: se abbiamo una vocazione o la assecondiamo, o ci mettiamo una coperta sopra.

Ecco: nel momento più delicato della mia psiche, mi hanno chiesto di essere voce. La mia vocazione primaria.

“Non mi sento molto bene”
Ricordo poco di gentile in questi ultimi mesi mentre ero una nuvola paralizzata.
Ricordo Matteo che mi versa un bicchiere d’acqua dopo avergli dato un calcio dialettico in pieno petto, ricordo Adam che molla il suo panino mentre sta sotto una panchina assolata per darmi una mano a disarcionare il carrello della spesa, Silvia che educa la mia voce in una stanza veramente afosa, Chiara che mi prepara da mangiare, mi prepara un letto e mi fa passeggiare, mia mamma che mi stringe e mi dice “calmati, calmati, sono qui”, Alberto che mi regala una serata al Conestoga, Stefano che mi mette dello zucchero nel caffè e me lo porge.

Ricordo che me ne sto accovacciata per terra con la bicicletta vicino, incapace di camminare o di non dire altro che “mi sento poco bene”.
Sento le sirene dell’autoambulanza, mi caricano e mi tengono al Pronto Soccorso di Abano Terme per qualche ora.
Sono tutti gentilissimi con me, e io quasi mi sento in imbarazzo che qualcuno si stia prendendo cura di me.

Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre. (Carlo Mazzacurati)

Posso dire che tutto è arrivato insieme, male e forte. Il Covid, la mia famiglia, i miei affetti, il mio studio, il mio futuro. Il sassolino è diventato una valanga, e per me non è stato più facile controllarlo. Credevo che una pausa forzata mi insegnasse a riflettere e a diventare una persona migliore, e di fatto per alcuni versi è stato così, per altri versi è stato un forte acceleratore delle mie paure e dei mostri che continuo a tenere nascosti dentro l’armadio. Ognuno di noi in questo periodo ha fatto i conti con i propri livelli di sofferenza, di crisi, di domande insolute e di progettualità.

C’è sempre qualcosa che ci porta indietro, e ogni volta ci tocca partire daccapo (Marco Paolini)

Ascolto Marco Paolini dalla prima fila nel cortile del Teatro Villa dei Leoni, visibilmente segnato in volto. Sono stata l’ultimo biglietto dell’ultimo giorno, trovato per fortuna. Penso che mi sento molto bene nel sentire qualcuno raccontare, darmi il suo lucido punto di vista sulla situazione. Concordo sul fatto che questa non è una ripartenza, è una pausa, e non so se la mia mente potrà resistere a un secondo lock-down. Penso che mi mette un po’ di angoscia assistere con la mascherina e distanziata a uno spettacolo teatrale, la mia testa si rifiuta di pensare che questa situazione possa essere permanente, ma un’altra parte la teme e non sa come reagirà.
Mentre sorrido a qualche battuta di monologo, penso a come Marco si possa sentire dopo la vicenda che l’ha colpito. Se si sente ancora in colpa per quello che gli è successo, se gli fanno male le risate del pubblico come avevo letto in un articolo di giornale e allora cerco di contenerle, mascherarle ed è facile mascherarle con una diamine di mascherina, ironia della sorte. Penso che Marco, come me e tanti altri, ha fatto i conti con il concetto di irreversibilità, ovvero che la sua vita da un certo punto in poi non è potuta più essere  la stessa.
E come si sopravvive a una condizione di irreversibilità?

“Sto vivendo un periodo difficile”

Ho smesso di ascoltare musica, e di farla. Mi sono persa molte cose in questo periodo, molte occasioni, chiedo scusa a tutte quelle persone che aspettavano da me delle risposte, ma l’apatia porta a rendere ogni cosa difficile, come se fossi schiacciato da un peso di una tonnellata e il compito sta proprio sopra una montagna altissima.
Quando stai veramente male perdi persino la forza di chiedere aiuto, ti sembra tutto piatto, tutto inutile. Quando ho cominciato a credermi in un posto e vedermi in un altro, a non tollerare nessun tipo di stress che non fosse mangiare, bere, dormire, una parte di me, quella più cazzuta, ha pensato che la mia vita, almeno per me, valeva qualcosa. Che non si può vivere mangiando ansia. Che non c’è niente di giusto nel vedersi attraverso una finestra. Che non ci si può vedere finiti a 33 anni. E così ho chiesto aiuto.
Un aiuto vero.

Le cose difficili sono tante cose semplici messe insieme. Le cose possono cambiare, non abituarti, ma soprattutto, non accontentarti (Giovanni Rago)

Per te che hai letto fino alla fine, mi sento di dirti grazie, e di dirti che anche nei momenti in cui non ci sei più tu, la tua vita vale. Vale sempre.
E’ il tuo cervello a convincerti del contrario, che è finita, che non servi, ma non è mai così, è un grande inganno costruito da te da cui solo tu puoi uscirne con dei bravi professionisti.
A me suonare fa ancora un po’ male e faccio fatica a farlo, ma continuo ad insegnare e a dare quel poco che ho oggi con tutta me stessa. Ho imparato che a volte si deve solo stare in silenzio perché è giusto così, che i mesi che perdi rispetto agli anni che vivi sono comunque un lasso di tempo che poi si può recuperare. Un silenzio di ricerca è esso stesso lavoro.

A te che continui a leggere, non sei solo, ci sono un sacco di motivi per cui continuare a vivere, anche se ora tu non li vedi. Sei una collana rotta e ci vorrà del tempo per ritrovare tutte le perle e rinfilarle una alla volta, e potrà ricaricapitare di romperti, non lo escludo.
Prenditi cura di te stesso, e del tuo dolore, chiamalo per nome, dagli importanza, presentalo a chi ti ama. E’ il primo passo per stare bene.

In bocca al lupo a te, io so vedere il tuo dolore.

Elisa

L’arte di lasciarti andare

“Il cuore ha una capacità di amare infinita… E’ che molto spesso la gente lo dimentica”

“Vedi Eli, ti conosco da molti anni. E sei una che si fa sempre un sacco di domande. Il tuo lavoro ti spinge a fartele, come pure la vita. Ecco, io credo che il tuo lavoro ti spinga a vivere una vita incredibile, ma attorno a questo tuo perno penso che ruoti il tuo senso”

Ho fatto l’ultima data di Antifragile con il magone di chi lascia andare una persona amata per un po’ di tempo, dopo averla conosciuta, aspettata, odiata, maltrattata, abbandonata, ripresa, riscoperta, riamata, apprezzata e rispettata.
Sono partita con questo blog qualche anno fa, quando qualcuno mi disse che parlare di me sarebbe stato pornografico, e invece è stato il mio più grande successo.
Mancava solo il capitolo finale di una storia lunga più di due anni.

Due anni incredibili che se mi guardo indietro mi hanno fatto toccare con mano cose che nemmeno avrei immaginato all’inizio dell’avventura, io, quella ragazzina con i capelli ricci che aveva lasciato il lavoro da social media manager e si disperava per un reddito precario.
Io, che imparavo e rimanevo incantata a vedere come le mie canzoni diventavano qualcosa che poteva somigliare alle canzoni che passano per radio.
Io, che dall’alto di tanti tetti crollati ho tenuto “Antifragile” stretto stretto, e me lo son portato avanti.

Il Piccolo (e lo chiamerò sempre così) ha fatto tanta strada, più di quanta immaginassi. E’ stato tanto amato e sostenuto, più di quanto pensassi.
Il Piccolo mi ha portato a misurarmi con me stessa e con gli altri più di quanto potessi sostenere, a volte mi ha letteralmente schiacciata, ma come dice Bowie… “Se sei capace di resistere a un tour puoi resistere a tutto”.

Credo in maniera assoluta e totale che fare dischi mi aiuti a diventare volta dopo volta un’artista e una persona migliore. E riascoltando “Antifragile” sicuramente qualcosa la cambierei. Ma globalmente, e onestamente, mi ridico che di lui sarò sempre felice. Perché è un disco onesto, e ha rappresentato il mio 100% in quel periodo.
Mi ha permesso di vedere quello che volevo essere nel disco successivo, e quello che non avrei voluto essere più… E l’esercizio più bello, oltre a volerlo, è stato quello di lasciarlo andare dopo due anni di live.

Perché non potevo continuare a riproporre una fotografia di un’Elisa che sicuramente resterà dentro di me – perché antifragili si rimane sempre – soprattutto per rispetto a una nuova Elisa che sgomita, in attesa di avere voce e tempo per poter realizzare Sinusoide.

Sinusoide, sì.
Come avete capito, adoro i concept album. Ma proprio perché adoro i racconti, i fil rouge, i film con il finale ciclico. Sinusoide sarà un disco ancora più personale di Antifragile, e ce ne vuole.

“Bru, con questo disco ho paura di fare male… Che cosa dicono le carte?”
“Le carte dicono di andare… E’ nella tua natura raccogliere segreti. E’ nella tua natura affrontare ostacoli”

Per Aspera ad Astra… Continuo a dirmi.
Ho in mano una decina di canzoni, una metà cattivissima, una metà eterea.
Incompatibili ma perfettamente simmetriche.

“Io non so di cosa ti vuoi meravigliare… Sei sempre stata due cose insieme. Con occhiali o senza occhiali. Elegantissima o maschiaccio. Euforica o silenziosa. Credo che se non sei in grado di scegliere tra le due sponde… Ti conviene scegliere il fiume”

Mi conviene scegliere il Fiume.

Succede che durante il tour di Antifragile mi innamoro. Perdutamente. Impossibilmente.
Ma mi innamoro come non mai.
Mi innamoro della persona più sbagliata del mondo e questo amore fiorisce, e con lui me stessa. Cerco gli interruttori per spegnerlo, questo amore, ma per quanto schiacci compulsivamente il tasto OFF il mio cuore mi porta sull’ON.
Così, per giorni, mesi, anni addirittura.
Ed è difficile spiegarlo a me, figurati spiegarlo a chi mi sta intorno questo meccanismo, questo loop che si stoppa e riparte, questo amore fiorisce dentro di me in silenzio, morendomi spesso in gola.
E come in tutte le cose in cui ti trovi per la prima volta, un po’ come una beta tester di una situazione impossibile ma allo stesso tempo viva e reale, o decidi di soccombere o decidi di affrontare la situazione senza fare troppi morti né feriti.
Ho scelto di essere grata a questo amore impossibile.

E ho scritto.
Ho scritto tutto quell’amore che non ho potuto vivere ma solamente sfiorare, mi sono fatta tante di quelle foto per ricordarmi chi ero, che cosa meritavo e non meritavo, solo per non cedere all’ossessione, alla paranoia, allo sconforto che un amore nascosto può darti.
Per ricordarmi che quando ci si innamora è sempre una rivoluzione, una benedizione, ci si innamora anche di noi stessi, e io, giuro, erano anni che mi non innamoravo così di me.
Ho tenuto il cuore aperto, anche se è stato doloroso e a tratti straziante. Ho tenuto il cuore aperto e una testa sempre vigile, lucida e consapevole che mi ha permesso di vivere e di non attaccarmi troppo a quello che non avevo, ma a quello che avrei potuto avere.

E così, un bel giorno, quando ho toccato quel fondo che non credevo mai di raspare e le testuali parole “Non posso star più male di così” ho cominciato a non vivere più la vita degli altri, a prendere lentamente tutte le parti più belle di me e a staccarmi, andare lontano, scrivere… A vivere, sempre e comunque.

Ho deciso che farne un disco fosse il miglior modo di non dissipare tutto. Di dargli un senso, una nobile ragione, una sua forma di giustizia e giustificazione, creando un mondo dove qualche cosa era esistito veramente e non era stato vano, che era valso a qualcosa.
Dove quell’amore non sarebbe mai andato perso.

Ecco a chi sarà dedicato Sinusoide: a tutti quelli che amano e non lo possono dire. O non riescono a dirlo.
Vi abbraccio,

Eli

Papà, ti racconto perché ho detto no a un talent (e a molte altre cose)

Ciao papà,

Questa lettera è indirizzata a te, ma anche a tutti i miei parenti, amici, conoscenti e fan che almeno una volta nella loro vita mi hanno chiesto “Ma perché non vai a X-Factor? Perché non vai a un talent… Meriti di farti conoscere”.

Io vi ho sempre dato le mie spiegazioni, vi ho sorriso e gentilmente e vi ho detto che no, non l’avrei fatto perché non è tutto oro quel che luccica, che è contrario al mio percorso musicale, che non è detta sempre la formula talent = fama.

D’ora in poi, quando mi faranno la domandina, io, morissi qua, gli linkerò a voce questo articolo.

Prima di iniziare ti devo fare una confessione papà. Io un provino per un talent, a gennaio, l’ho fatto.

E adesso ti spiego anche perché.

Prologo.
Era un periodo di forte abbandono musicale. Ho fatto concerti bellissimi, altri in cui la gente mi ascoltava a malapena, ho girato l’Italia in treno, in auto, con o senza amici, e mi sono organizzata praticamente tutto da sola. Ero conscia dei rischi e del fatto che senza aver nessun tipo di aiuto e protezione sia le gioie e che i dolori che questo mestiere comporta mi avrebbero fortificato e mi avrebbero indebolito molto.

Ho girato l’Italia papà! Ho visto posti che mai mi sarei sognata di vedere con la mia musica, pagata poco, motivata tanto, solo con l’aiuto di bravi musicisti che hanno garantito per il mio stato di esordiente autoprodotta. Con un disco interamente finanziato tramite il crowdfunding! Anche se non sono proprio giovanissima. Ma non puoi sempre pretendere che la gente si faccia delle domande sul perché il primo disco è uscito alla soglia dei trent’anni.

Lo sappiamo solo noi, pap’s. Nessuno ci ha mai regalato niente, abbiamo incontrato dei cattivi maestri, abbiamo smesso di chiedere per i troppi no. Abbiamo fatto bene? Male? Boh. Il passato è veramente passato, e non si può più tornare indietro e riscrivere la storia.

E poi ho vinto il Premio della Critica a Amnesty – Voci per Libertà con “Scampo“… E quello è stato bello perché con la mamma sei arrivato il giorno della semifinale e io non ci speravo proprio, e quando ti ho visto dietro le transenne ti sono corsa incontro e praticamente ti sono saltata al collo. Vedere gli occhi orgogliosi e felici di Andrea, mio fratello, tuo figlio, mentre stringevo il Premio della Critica è ancora una delle immagini più belle che tengo nella mia videoteca dei ricordi felici e me la mando a loop quando sono giù.

Ma devi sapere altre cose. Che già in quel periodo c’ero e non c’ero. Che suonavo e non riuscivo a divertirmi, perché c’era sempre qualcos’altro a cui pensare. Che quando fai un disco ci si espone. E chi si espone si assume dei rischi. In questi rischi c’è il fatto di venire giudicati. E chissà per quale motivo nella nostra testa risuonano sempre più alte le critiche che i complimenti, o le soddisfazioni. Perché di persone sincere che gioiscono veramente ai tuoi successi ce ne sono poche.  Molte di più quelle che ti fanno vedere dove sbagli.

Mi ricordo di un giorno in cui ho portato il premio da un mio grande amico. Non era stato presente la sera della premiazione, anche se ci tenevo tanto che ci fosse. L’ha guardato, mi ha detto un formale “Complimenti” e poi ha continuato a fumare e a chiacchierare con gli altri suoi amici.

Queste sono le cose per cui ti abitui a non entusiasmarti troppo. A ridimensionare le cose. Così eviti di starci troppo male. E impari a vivere tutto in maniera più distaccata e disillusa.

Devo dirti papà, che fa un po’ schifo questa cosa. Io non sono così. Me l’hai insegnato tu.

Papà, ci dicono che dobbiamo fare musica soprattutto per noi stessi. Che non dobbiamo guardare le mode, e che fondamentalmente la differenza la fanno i soldi e/o le conoscenze, che la strada è lunga, e che prima di crederci gli altri ci dobbiamo credere noi.

E la credo tuttora così, e penso tuttora che la musica sia la mia vita. Ma tu continua a suonare per mesi senza trovare più stimoli. Senza gioia, senza aver voglia nemmeno di toccare la chitarra o provare gioia per un pezzo di altri. Cominci un po’ a morire dentro e a preoccuparti perché il disco va bene, ma tu non riesci davvero a vivertelo bene. L’arte, per quanto si faccia per sé stessi, ha bisogno di essere accolta e ascoltata. Hai bisogno di sentire un po’ di tepore sulle dita, un po’ di caldo nella pancia, un po’ di emozione nella voce.

Ti manca una rete di supporto, soprattutto quando le persone che hanno creduto in te ti hanno (inconsciamente? O no?) abbandonata. Tutta la forza e l’energia che ti ha spinto avanti l’hai buttata fuori, e non ti arriva niente.

Arrivano i dubbi su te stessa, sul tuo talento, cominci a cambiare il live, ad aggiungere, a mettere in dubbio tutto.

Arrivano nuovi amici che credono in te, ma tu hai troppa paura che anche loro ti abbandoneranno.

E così ho smesso di parlare. Di chiedere.

La proposta.
Mi arriva la proposta di un talent. Via messaggio privato su Facebook. E la prima reazione è quella di rispondere malamente e dire “Guarda che io sono quella che ha fatto una maglietta con scritto *Perchè non vai ad Amici?* visto che tutti glielo chiedevano”.

Poi ci penso. E penso al fatto che il prossimo disco ha bisogno di più fondi per creare un prodotto di qualità, dall’audio al video, che ho bisogno di una squadra e che forse un po’ di aiuto dal medium televisivo possa darmi una mano. Ma sono molto, molto combattuta. Ne parlo con amiche cantautrici che l’hanno fatto.

“Fallo, io sono uscita dopo due puntate. Ha fatto girare il nome e ho potuto pretendere un po’ di più sul cachet. C’è il rischio che possa farti del male, ma tu hai già un percorso definito e sai cosa vuoi, non credo che possa arrecarti danno”

“Nel mio caso mi ha danneggiata… Pensa che c’erano dei locali che sapendo che l’avevo fatto non volevano farmi suonare. Ora forse è diverso… Dipende tu cosa vuoi, intanto è un provino… Fatti la domanda: a te, un talent, cosa serve? Per carità, io poi ho fatto Sanremo… Ma non è che poi abbia fatto tanto la differenza”

“Ficcati in testa che pubblico televisivo non è uguale a persone che comprano i tuoi dischi, o vengono ai tuoi concerti. A me quel talent ha bloccato per 6 mesi e non potevo fare nulla. Ho visto amici a cui erano state promesse aperture importanti che poi son svanite perché è arrivato quello dell’anno dopo ed era più fico. Non è musica, è spettacolo televisivo. Quelli della tv sono cinici. Mi ha fatto male fisicamente”

“Se vai a fare un talent ti prendo a calci nel culo”

Il provino.
E’ un pomeriggio uggioso, a Milano Lambrate. Ho un numero sul petto e compilo una liberatoria. Mi hanno chiesto di preparare 10 pezzi, in italiano e in inglese.

Sono con la penna e in mano e ancora prima di entrare so già che con i talent non ho niente a cui spartire.
Oh papà, è proprio vero. A certe cose devi proprio sbattere il naso davanti per avere la riconferma che non fanno per te.

Nel foglio di presentazione dell’artista che mi fanno compilare c’è un 30% di domande sulla mia carriera artistica e un 70% sulla mia vita personale. Sulle persone che mi hanno ostacolata, chi è la persona più importante della mia vita, se se sono fidanzata, se ci sarà qualcuno a fare il tifo per me durante le puntate…

Ora. Io uso questo blog, i social, i miei concerti, la mia musica per raccontare quello che voglio della MIA vita. L’ho messo in conto, di espormi, quando ho cominciato.

Ma questo non significa che debba farlo la mia famiglia. Ci sono cose talmente preziose che io voglio che rimangano al sicuro, protette con le mie spalle, difese con le mie unghie.

In tutte queste cose ci sei anche tu. E non vi darò certo in pasto a chiunque.

Un conto è essere giudicata per la musica che faccio, un conto per la vita che conduco. Non ho bisogno di un pubblico che compatisca le mie vicende personali.

Papà, ho fatto il provino. Ho cantato due canzoni. E la domanda che mi hanno fatto alla fine è stata: “Perchè hai scritto NON LO SO su Sei sposata/Fidanzata?”

Mi sembrava di essere al colloquio di lavoro per entrare a Confindustria, quando mi chiesero se avevo intenzione di fare figli nel breve periodo.

Dopo.
Ho ricominciato a studiare per il diploma di chitarra, almeno ci sto provando. Ho fatto un altro lavoro per dimenticarmi completamente della musica, per poi rendermi conto che non posso fare a meno di lei! Ho ricominciato a suonare e a rimettermi in gioco. Ci provo. Come al solito in situazioni più belle, in altre in situazioni meno carine.

La vita è sempre complicata papà, e ci saranno sempre i buoni e i cattivi, e a volte i cattivi sono talmente cattivi che ti convincono che non sei brava abbastanza per continuare, ma continuo a credere che se vuoi fare strada e non hai santi in Paradiso devi

  • Continuare a fare buona musica
  • Continuare a essere gentile e dare spazio agli altri
  • Continuare a fare il tuo lavoro in maniera onesta e professionale

Io lo so che ci sono le scorciatoie, che alcuni giorni starò di merda per un’occasione sfumata o perché non ho l’amico giusto, che a volte non basta solo fare buona musica ma anche quell’Altro che forse io non ho o non sono in grado di fare. Lo so che suonerò in tanti posti dove la gente starà con il cellulare in mano e non sarà in grado di emozionarsi perché è troppo distratta dai troppi stimoli, come pure so che ne colpirò magari 2 su 100.

Lo so che farò una cosa e non andrà bene, poi la cambierò e comunque non andrà bene. Farò un disco e mi diranno “Perchè non fai cover?” e quando farò cover diranno “Basta con le cover!”. Mi chiederanno tanti più post con la mia faccia e meno in cui dico quello che penso. Cerco sempre e comunque, nonostante la macchina non mi piaccia, che il messaggio e la mia essenza non si sporchino.

In questo mondo di views, di amici influencer e di like continuerai a dirmi

“Dovresti fare Sanremo. Meriti che tante persone ti ascoltino!”

E ci saranno giorni in cui sarà stanca, ma voglio continuare a essere me stessa, con le mie battaglie da affrontare. Ho solo bisogno che tu creda nelle scelte che ho fatto, che non mi risparmio mai e che basta davvero poco, tipo venire a un mio concerto, farmi ascoltare ai tuoi amici, consigliarmi e darmi un tuo parere sulla serata, e io farò di tutto per migliorarmi, perché sai che sono una secchiona precisa di prima.

Continuerò a svegliarmi la mattina e a pensare al disco nuovo, al tempo che voglio dedicargli rispetto al tempo che non ho, affaccendata in mille lavori per finanziarlo prossimamente.

Perché è la mia Vita papà, e magari tu vorresti un grande pubblico. Credici con me come ti ho scritto, e magari le persone smetteranno di pensare che non serve un talent per dare luce a dei giovani talentuosi, ma soprattutto andare ai concerti, ascoltarli, e investire su di loro.

Ti voglio bene papà,

Elisa

L’arte di rimanere in silenzio

«Sono gli uomini silenziosi che fanno le cose»
(Robert Baden-Powell)

Mi mancava scrivere. Mi mancava aggiornare un po’ le vicende di Antifragile dalla sua nascita alla sua crescita, perché nel frattempo sono cresciuta un po’ anch’io.
Questo disco ha quasi compiuto 9 mesi, e se penso a tutto quello che è successo in questo poco tempo, da autoprodotta tutto sommato posso dirmi che ho lavorato bene.
Ma per ammettermelo a me stessa e per vedere le cose con la giusta lucidità ho avuto e ho tuttora bisogno di rimanere in silenzio, ferma. E credetemi, per una che di media passa quasi 8 ore al telefono è un’impresa ardua.

La musica è un fatto personale.
E’ stata un’estate rocambolesca in cui ho dovuto affrontare una grande sfida: amore e musica.
La musica, come una storia d’amore, è un fatto personale. Viaggiare molto spesso da sola mi ha portato a dei forti livelli di stress, sbalzi d’umore, incapacità di gioire dei frutti del mio lavoro perché c’era sempre qualcosa dopo a cui pensare. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose che si sono innamorate del mio disco e che mi hanno permesso di suonare, ho girato l’Italia, ho stretto amicizia con musiciste di cui tempo fa ero solo fan. Ho vinto il Premio della Critica al Premio Amnesty, aperto il concerto di Nada (<3) e di Diodato. Ho visto amici sparire (letteralmente), altri stare male, ho dovuto dire addio a relazioni che non mi portavano da nessuna parte. Ho dovuto coordinare una band non dimenticando mai (e questo è sacrosanto) che si ha a che fare, oltre che con dei professionisti, con delle persone.
Ho dovuto scindere l’umano dal professionale. Fare le spalle larghe da ragazza dentro un mondo pieno di maschi.
Le persone che collaborano con te per lavorare bene DEVONO stare bene. Devono essere informate, remunerate, rispettate a tutto tondo ed è sempre molto difficile garantire tutto questo quando non hai uno staff alle tue spalle (tour manager, agente booking, etichetta, etc). Ho avuto la fortuna di avere dei musicisti e dei collaboratori che mi hanno capita, e non è cosa di tutti i giorni. Grazie amici miei.

Il tempo è la risorsa più importante di questo millennio.
Il punto 1 genera molta fatica, anche a livello relazionale. Per poter mandare avanti un disco in questo modo ci vuole molta energia, tante telefonate, tante chat, tante parole. Tutta questa energia a scapito della tua vita reale: compagn*, amici, famiglia, fratelli. Tutto passa in secondo piano perché stai cercando di tenere su l’investimento che ti ha fatto perdere il sonno per anni. Perché speri prima o poi che, visti i passi che hai percorso, qualcuno prima o poi si deciderà a darti un passaggio. Non lo puoi però pretendere, e quindi devi continuare a lavorare.
Le grandi risposte che dono in questi ultimi tempi sono “Sono di corsa”, “Ci sentiamo domani”, “Sono un po’ incasinata”.
Detesto rispondere via Whatsapp a cose importanti, raccontare della mia vita per messaggi vocali, e spesso mi rendo conto che sento più spesso i miei migliori amici solo per questioni di lavoro. Le risposte si fanno frammentate. Una condizione spesso frustrante.
Il tempo sta diventando sempre di più la risorsa più importante che abbiamo, da amministrare con prudenza e cura. Siamo così sovrastimolati da una serie di compiti diversi che alla fine della giornata non concludiamo nulla, e di tante conversazioni non riusciamo a chiuderne una. Teniamo in piedi tante cose, parliamo con tante persone… E non arriviamo mai al punto.
L’umano non è programmato per sostenere un carico di lavoro emotivo-relazionale del genere, figuriamoci nella questione musicale.

Ci sono pochi soldi (e si vede).
Nella scena del musicale, vivendola dal lato artistico e girando sempre più, mi sono resa conto di un fatto clamoroso: nella musica indipendente girano pochi soldi. Mancando gli investimenti, perché ormai chiunque può fare musica, tutti noi esordienti dobbiamo fare i conti con l’autopromozione o l’ibridato (metà artista, metà qualcuno pagato da te), e questo porta appunto a fare i conti con un budget che non risponde alle nostre aspettative, a un tempo eternamente mancante per lo studio di una buona performance live e compositiva. Devi arrivare al big di turno con la pappa pronta, come direbbe mia madre. Views su Youtube, Gente ai concerti, vendite assicurate. Poi diventiamo amici.
Quante volte mi son sentita dire che il mio disco non era abbastanza curato nel packaging, nella produzione, nelle grafiche.
Quante volte mi son sentita dire che dovrei girare con un fonico mio dato che il mio live è molto bello.
Sinceramente? La risposta è sempre la stessa. Budget. Se avessi avuto il triplo del denaro investito, probabilmente Antifragile avrebbe avuto un’eco mediatica più alta, un’esperienza migliore di packaging, avrei curato di più la parte visual, avrei cercato date più appetibili.
Ma devo fare i conti col fatto che a organizzare tutto ero io e solo io. E mi devo portare rispetto.
Ci vedremo al prossimo disco.

A volte non mi sembra che siano cambiate tanto le dinamiche di quando lavoravo come social media marketer. Passo il tempo a mettere in contatto persone, pianificare la mia settimana, gestire le eccezionalità, gestire (soprattutto) casi umani, difendere la mia categoria. Di tempo speso con la chitarra in mano ne ho sempre meno e di solito provo per i live, o al check.
Siamo alle prese (come sopra) con mille lavori per tirare a campare che al fin della fiera non ci assicurano un capitale accumulato.
Questo genera ansia e incapacità di generare materiale nuovo con tranquillità. Di studiare solo la nostra perfomance e la resa tecnica dello strumento & voce.
Quanto tempo ci ruba il postare un video sui social network? Quanto tempo ci ruba seguire i nostri eventi live, dalla ricerca della data alll’arrivo in loco? Quanta energia ci toglie dover gestire così tanti prodotti delocalizzati? E’ chiaro che poi il contenuto di alcuni dischi si svuota, si parla con superficialità. Non hai tempo per curare le tue parole. Non voglio questo.

Via dai social.
I social sono un mezzo necessario. Grazie a loro ho incontrato tante bravissime persone che mi hanno dato una mano vera (Andrea, Francesco, Enrico, Chiara, Ilenia) a portare in giro il mio spettacolo, ma c’è un momento in cui dobbiamo cominciare ad andare off-line. Per non parlarci addosso, per non trasmettere stanchezza, rabbia, ritrosia, per renderci conto che tutto quello che abbiamo fatto è stato buono, e lo è stato, ma soprattutto per riuscire a godere di quello che stiamo vivendo in quel momento.
Per guardare un buon film, per leggere un libro, fare una passeggiata in montagna. Per fare una bella mangiata di queste cose da trasmettere nelle canzoni future. Perché voglio dire qualcosa che abbia un senso, voglio qualcosa che rimanga. Alle mie parole ci tengo.
Antifragile ha bisogno di nuova benzina, il suo percorso non è finito. Ho bisogno di riposare, fare altro, saldare i miei debiti e trovare nuovi fondi per il disco nuovo. Ho bisogno di vivere, curare tutto quello che mi riprometto di fare da tempo per uno spettacolo fico. Ho bisogno di guardare la musica con lo stesso entusiasmo di quando sono partita con Antifragile. Mi rendo conto che salita in macchina non posso fermarmi, però ho bisogno di una sosta. Per curare tutto quello che accantono da tempo.
Ci vediamo con i live verso dicembre/gennaio, per ora vi abbraccio.
E sono davvero felice che Antifragile abbia fatto la strada che ha fatto, perché io sono fiera di lui. E di voi.

Elisa

“Con gli occhi degli altri. Il Social e l’Antisocial”

Faccio questo post per unire l’utile al dilettevole. Così aggiorno un po’ il sito e vi racconto un po’ come sto e come stanno andando le cose dopo l’uscita di “Antifragile“.

Comincerò così: prima di occuparmi completamente di musica, mi occupavo di social media marketing. Mi ero specializzata nel crisis management, ovvero come gestire delle crisi aziendali dovute ad errori di comunicazione o scivoloni di vario tipo (vi ricordate del caso Barilla quando il proprietario si disse contrario alle famiglie NON tradizionali (sic)? La pagina Facebook venne subissata di insulti e il marchio ne risentì).

La prima cosa che cercavo di insegnare durante i seminari era di rispondere chiaramente, con ironia, dicendo la verità, e nel momento in cui si rischiava di mentire dando un’informazione distorta era necessario rimanere in silenzio.

Così ho fatto in questi giorni.

Se avessi scritto prima, sarebbero uscite righe tristi, arrabbiate, piene di risentimento. Perché effettivamente è così che mi sentivo.
Oggi vorrei parlarvi un po’, come un’amica che vi parla davanti a una birra, dopo una passeggiata al mare in un giorno di sole.

Antifragile è uscito il 20 gennaio 2017, e per come è nato e cresciuto vederlo in carne e ossa è stata una delle cose di cui andrò più fiera in vita.
Ho cominciato completamente da zero: trasferendomi dai miei nonni con zero euro in tasca, mettendomi solamente a suonare, mettendomi in gioco come insegnante, chiedendo a Stefano [Pivato, Noshoes Recording Studio, ndr] di produrmi anche se non avevo capitali, organizzando un crowdfunding perché le mie canzoni prendessero forma.
In mezzo ci sono state molte cose molto provanti. Ma soprattutto, ho dovuto fare affidamento sulle mie sole forze per un carico di lavoro veramente eccessivo, e tutto ciò è stato alla lunga molto (molto) stressante.

Ho cercato molte volte di delegare il lavoro di promozione, comunicazione, booking e management a qualcuno al posto mio, ma ho ricevuto molte NON RISPOSTE.
Non è mai stato un problema darmi da fare in prima persona, ma nel momento in cui lavori senza nessun tipo di filtro o spalla al tuo livello le NON RISPOSTE, o I RITARDI, GLI INTOPPI, LE PROBLEMATICHE ACCAVALLATE cominciano ad avere una seria ripercussione sul tuo umore.
E in un qualche modo, ti abitui a non chiedere più una mano per il timore di un rifiuto, o di quella NON RISPOSTA che ti frustra ancora di più.
Come nel giornalismo, bad news is a good news.

Soprattutto se vorresti fare tutt’altro, cioè suonare.

Mi sono permessa di lavorare non stop dalle 9 di mattina alle 3 di notte, sono arrivata a rispondere al telefono e alle chat di Whatsapp anche durante il pranzo, a controllare Facebook e Instagram compulsivamente anche di notte. A esserci, sempre e continuamente, per tutti.

Tutto questo ha minato il mio mood quotidiano, costantemente aggressivo, e il mio ascolto verso gli altri. Ho cominciato ad avere dei problemi di concentrazione e di comprensione del testo e dei racconti dei miei parenti. Non riuscivo ad ascoltare nessun brano musicale dall’inizio alla fine. M’annoiava (Fiorella) tutto.
E’ come se la mia testa fosse costantemente satura di uno spazio che in realtà non era occupato.
Gli amici erano molto contenti di Antifragile, e cercavano in tutti i modi di farmelo capire… Ma io non ero partecipe veramente della loro gioia.
Avrei voluto smettere e scappare via lontano.
Appena succedeva qualcosa di buono, aspettavo la contropartita.

Qualche settimana fa è accaduto un evento che mi ha scossa profondamente, e come da ogni evento traumatico che si rispetti, ho fatto esperienza e imparato qualcosa.
A parte due mesi di stop forzato, non mi sono mai fermata un attimo, e l’ho fatto apposta.
Per non affrontare il senso di vuoto, una mancanza, l’oblio.

CAMPANELLO #1
Mi è venuta in mente una frase di un’insegnante delle scuole medie, che i ragazzini di oggi con una tecnologia che permette loro di trovare tutto e subito non sono abituati all’attesa, al desiderio.
Alla mancanza di qualcosa.

E la mancanza può essere utile, perché lì sviluppi il senso di ricerca, il senso di risoluzione del problema.

CAMPANELLO #2
In un’intervista fatta a Giuseppe Lopizzo (un bravissimo vocal-coach) per Radiobue si parlava di come anche i cantanti professionisti sempre più continuano a essere seguiti anche dopo gli inizi.
Perché non è detto che quando si impara a cantare poi è sempre tutto uguale.
Ci sono nuovi impegni, abitudini scorrette da modificare, un nuovo repertorio che presenta nuove difficoltà.

Un po’ come la vita.
Quello che prima poteva essere un equilibrio, per questioni vitali continua a modificarsi, e noi con esso. Nel momento in cui si continua a cadere e a rialzarsi senza camminare con continuità, forse è meglio stare un po’ in panchina.

CAMPANELLO #3
“Se pensiamo costantemente al nostro passato, non faremo altro che alimentarlo, non vivendo il presente. Come per i pensieri negativi, più ci pensiamo, più gli diamo energia”

CAMPANELLO #4
Sono diventata ciò che non sopporto.
Invidiosa e scostante.

Ho disinstallato tutti i social dal telefono. Ho cominciato ad uscire e a capire perché stessi così male, perché non provassi più alcun entusiasmo nel suonare.
Proprio adesso. Proprio ora, sì. Nel momento di massima esposizione.
E più uscivo e parlavo, più la vera spiegazione arrivava da… VOI.

“io ho smesso di fare date da circa un anno. Non lo sopporto più. Non sopporto più di dover portare la gente, contattare quello e quell’altro, chiedere il favore di là e di qua, guardare la sfilza infinita di “visualizzato” che si susseguono nella mia chat. Non ho mai odiato il mio lavoro così tanto”

“non mollare, (omissis), all’inizio credi che sia questione di vincere con una carica di cavalleria, ma la verità è che è battaglia di trincea, vince chi si usura meno”

“ma tu non sai quante volte mi sia successo con la fotografia. Ho venduto tutti gli obbiettivi e sono andato a lavorare come falegname per due anni! E’ normale che ti sia venuta la depressione post-partum. Non si può suonare a comando, altrimenti diventa un’abitudine”

Paradossalmente, in questo periodo mi hanno aiutato i miei allievi. E i miei amici musicisti.
I miei amici musicisti, quelli veri, perché nei momenti di fragilità ti raccontano le loro retrovie. E capisci che quelli bravi davvero si danno una mano, e non i calci in culo. 
I miei allievi è come se avessero assorbito la passione che ho dato loro nei miei momenti d’amore e nel momento in cui non ero poi più così convinta sono stati lo specchio di quello che gli avevo trasmesso. E’ stato bello vedere Alisia liberare la sua voce, è bello vedere Vittoria segnarsi per bene le pronunzie dell’Hallelujah di Cohen, o Bea, che sta imparando i suoi primi riff.
E’ stato bello sentir cantare Chiara Vidonis, essere abbracciata forte da Irene Ghiotto, aver giocato a calcetto con Ilenia Volpe, rivedere Pier, Chris, Spa, Andrè e Lucia, emozionarmi con Chiara Patronella e Salvatore Alessi.
E questo accadeva FUORI.
Per una questione di cecità virtuale e mentale, rischiavo di perdermi tutto questo.

Ora posso dirmi pronta.
Riprendo a suonare e a usare i social, perché hanno dei difetti orribili, ma anche dei pregi straordinari. Ed è anche grazie e soprattutto a loro che riesco a fare ciò che faccio. Mi hanno fatto conoscere amici straordinari e un affetto di cui ero all’oscuro.
Il sistema del musicale italiano non cambierà, ma da oggi cambio un po’ io. Non so in che modo, ma cambierò.

Continuerò a prendermela a cuore? Probabilmente sì.
Ma ovviamente prendendomi sempre in giro.

La musica per me è un fatto carnale. Continuerò a volerle bene, a pretenderla, ad odiarla, a litigarci.
Perché non è un prodotto, non è un’abitudine, è un fatto terribilmente umano.
Come lo sono io.

Sorrisi a tutti. Grazie a tutti per il vostro immenso entusiasmo e supporto, vi voglio bene.
Se una ha gli amici che si merita, non son poi tanto male :-)
Eli

12×01 “Fuori dallo scatolone”, Antifragile

Settembre 2016 – NoShoes Recording Studio (Dolo, Venezia)

“Posso farti una domanda stupida? Cos’è il mixaggio?”

“Il mixaggio è il momento che preferisco. Mi chiudo in studio, mi incazzo per dei giorni da solo finché non trovo il suono giusto che ho in testa di tutti gli strumenti. Sono capace di fermarmi anche un intero giorno sul suono di un rullante. E’ il mio banco di prova: devo giustificare tutto quello che ho pensato all’inizio del disco.”

“Che cosa intendi?”

“Che quando ascolto una canzone io vedo tutto. Capisco come deve suonare, la pasta. Ho la visione d’insieme. E non mi accontento finché non esce ESATTAMENTE come l’avevo pensata.”

Ottobre 2016 – NoShoes Recording Studio (Dolo, Venezia)

“Le grafiche del booklet saranno come un grande scatolone, dove metterò gli oggetti che ho tenuto durante i quattro traslochi. Ti ricordi quando mi parlavi della visione d’insieme? Io ce l’ho per tutto il resto. Ho l’idea del logo, cosa mettere nelle maglie, delle grafiche, come uscire nelle foto, lo storyboard del videoclip. Forse passo per una megalomane, ma ho in testa una storia. E per essere raccontata alcuni particolari non possono essere cambiati. La comunicazione è importante. Non prendo per il culo me stessa, tantomeno gli altri. Deve uscire la storia che ho in testa. Devo dire la verità.”

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La copertina del booklet. Artwork: Matteo Simonetti

11 Ottobre 2016 – Flixbus, tratta Milano/Lampugnano – Mestre/Venezia

“Tieni conto che ormai il successo dei dischi lo fanno gli uffici stampa.”

Sto tornando da Milano e questa frase mi sembra vera e agghiacciante al tempo stesso come “Eh ma non sei milanese”, “Eh ma non sei abbastanza indie”, “Eh ma non sei abbastanza mainstream”.

E penso.
Come se essere veneta fosse una colpa.
Come se essere indie fosse una colpa.
Come se non essere indie fosse una colpa.
Io sono io, se mi metto a pensare che musica fare per piacere agli altri è finita.
Non sono cane, né un lupo. So soltanto ciò che non sono.
Praticamente sono Balto.

Faccio parte ancora della vecchia scuola che pensa che un album o è bello o è brutto, indie o mainstream che sia, veneto o milanese che sia.
Non sono mai stata razzista nella vita, figurati se lo sono con la Musica.

A quanto pare non è così, ed è stato utile sentirlo. Per essere preparata a qualsiasi evenienza, che non significa disilludersi o amareggiarsi, ma rendersene conto.
Si sa che più che cercarsele le cose bisogna essercele. Farsi trovare nel posto giusto al momento giusto.
E’ il principio dell’anello, descritto dal buon Saturnino ad un vecchio incontro al Vintage Festival.

Non mirare al pesce grosso, ma ai pesciolini intorno. Un anello dopo l’altro ti porteranno a lui.

Mi trovo all’Autogrill di Desenzano del Garda e ho una nuvola gigantesca in testa: penso alla fatica fatta per finire questo disco, alla paura che tutto venga vanificato per fattori che non posso controllare direttamente.

“Tu non consideri una variante: LA VARIANTE C. Il Culo Eli, o il Caso. Vedi tu. Non sai come verrà accolto il tuo disco dal pubblico. Può essere che tu abbia tutta la pubblicità del mondo e non vada, come pure il contrario. Ci sono delle cose che non dipendono da te, che non puoi prevedere.”

Ha ragione Alice, instancabile risolvi-problemi. Ho fatto tutto il possibile per Antifragile, eppure vorrei fare di più. E’ possibile che non si riesca a capire cosa fare dopo aver fatto un album? Come ci si rivolge a un’etichetta? Come scegliere un booking o un ufficio stampa?

“Se non sai una cosa, chiedila con cortesia. Una domanda non è mai stupida. La risposta, semmai, sì.”

La risposta ha la voce dolcissima di Chiara Vidonis. Una cantautrice che stimo profondamente, e che al telefono ha la stessa voce della mia amica Gioia, quindi per transfert le voglio già bene. Con il mio stesso percorso, e che forse non mi darà la soluzione, ma non cerco soluzioni. Ho bisogno di esperienze e di persone fidate.

E Chiara scrive bene. E chi scrive bene pensa bene.

“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”
“Ringraziare è logico/ Essere grati è una questione di buonsenso e rispetto”

“Sì, indubbiamente non risparmiarti nell’ufficio stampa. Fai una piccola ricerca in base ai cantanti a cui ti ispiri e vedi a chi si sono rivolti. Sembra che non succeda nulla all’inizio, ma in realtà se il disco è buono qualcosa si muove. Cerca di investire nella tua immagine, e cerca di suonare il più possibile fuori dalla tua regione. Creati una tua piccola cartella stampa: foto, biografia, disco in streaming. E le aperture dei concerti per artisti BIG! Quelle sono super-importanti. Metti tutto ciò che potrebbe essere giornalisticamente rilevante.”
“Grazie Chiara… Io non so veramente come ringraziarti.”
“Ma figurati! Se non ci si aiuta tra di noi. Rimaniamo in contatto! E spediscimi il tuo disco.”

Appena chiudo la chiamata mi sento un po’ più… consapevole. Credo sia la parola più adatta.

Chiara mi ha appena dato una pacca sulla spalla, e ha avvalorato una tesi che sostengo da un po’, forse non dai risultati immediati, ma per me più etica ed efficace.

Dunque.
Parliamo sempre di risposte, di cambiare le cose, della paura del fallimento.

Credo nel mio piccolo di avere avuto delle vittorie.
La prima è che ho smesso di cercare le risposte negli altri: è molto facile dare la colpa ad agenti esterni di ciò che ci succede, o peggio, aspettare che qualcuno risolva le cose al posto nostro.
Il dolore non si può evitare, ma gestirlo da soli (e in caso condividerlo, non buttandolo addosso a terzi) ci fa capire meglio noi stessi, e di conseguenza gli altri.

La seconda è che bisogna investire nelle persone. Ascoltarle. Il male del nostro tempo è che ci si parla addosso e non si ascolta chi ha qualcosa da dire. Nell’ascolto si capisce chi ti è veramente amico, e chi no. Aiuta a fare una scelta. Investire significa anche scegliere.
Le relazioni diventano contatti, che diventano risorse. Essere d’aiuto, perché poi in un qualche modo quell’aiuto ti ritornerà. A me succede in continuazione.
Capire le persone è come aggiustare una macchina. Non tutti sono in grado di farlo. E non tutte la macchine vogliono essere aggiustate, o non tutte le macchine possono essere aggiustate da te.

“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre” (Carlo Mazzacurati)

La terza e di cui vado più felice è che attraverso la mia lotta e le mie parole tanti amici hanno trovato il coraggio di fare qualcosa. Sono partiti dei progetti su Musicraiser, alcune persone che mi seguono su Facebook hanno intrapreso un viaggio da soli, c’è chi mi scrive perché attraverso le mie canzoni ho alleviato un po’ del suo dolore, o li ho fatti sorridere.

“Tutto è provvisorio in questo universo. Non è che sia importante l’esistenza di una canzone… cosa vuoi che sia. E’ importante nel momento in cui influenza qualcuno a diventare un essere più degno” (Franco Battiato)

**********

Non c’è nulla di eroico nella mia vita. Anzi, il più delle volte è dolorosa e palesemente sfigata.
Non mi fido delle persone a cui va sempre tutto bene. Anche di quelle a cui va tutto male. Simpatizzo con chi cerca di affrontare le situazioni, cerca di capire e imparare.

Sono un’umana cantautrice che si divide tra un insegnamento precario, una famiglia caciarona, un disturbo d’ansia generalizzato, conti del dottore e multe da pagare. Un’umana cantautrice che si entusiasma per una nuova chitarra, una bella canzone, per un allievo che riesce a fare il suo primo barrè o fa progressi nel canto, che studia e ama con passione.

Piango tanto e rido di più.

Antifragile, il NoShoesRecording Studio, i miei insegnanti, i miei allievi, il crowdfunding mi hanno insegnato che a tutto c’è una soluzione. Prima o poi. E che bisogna vivere, bisogna essere sinceri, bisogna accettare la propria umanità.

Thinking outside the box”: bisogna uscire fuori dalla propria scatola.
Nel mio caso, dallo scatolone.

11×01 “Come va con l’album?”, Antifragile

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16 settembre 2016
Dai, che la prossima estate parte il mio tour“, replico scherzosamente.
Il tuo tour. Mettitela via che per i primi 3 anni un fonico tuo non te lo potrai permettere. Passi il live-set da sola, ma con la band sarà dura. Dovrai occuparti di pagar loro la serata, essendo turnisti. E se giri per l’Italia? Un noleggio furgone. Il booking? Se è bravo riesce a trovarti almeno 20 date, e vorrà giustamente una percentuale. Videoclip di nuovi singoli. Concorsi. Ufficio stampa.
Mettiti in testa che per questi primi anni, se le cose andranno bene, non guadagnerai. Suonando non ci si arricchisce. Ma questo è il mestiere che abbiamo deciso di fare“.

Rasoiata artica. Giusta rasoiata artica.
In studio abbiamo appena registrato le voci definitive di “Ciclista e Palombaro“, forse mi hanno assunta in una scuola di musica.
Dovrei festeggiare e mi viene il terrore. Guido verso casa e per la prima volta in un anno penso di aver fatto una cazzata.

E’ la fatica di un anno in studio. Del km 30 mentre stai correndo in una maratona, come dice Federico.
E’ la stanchezza e il dolore di una malattia sottile e bastarda che mi infastidisce da Aprile e colpisce nei momenti più insoliti.
E’ la randomness di una nuova folle incognita che incombe su me, Stefano e il NoShoesRecording Studio. Un computer rotto, la corrente che salta, le spese improvvise, le sorprese sgradite.
E’ il mio mescolare tutto insieme in un bolo emozionale unico.

Ma scusa, com’è che Levante ha fatto un album in tre settimane e tu ci metti un anno?

Incasso la battuta. Ma francamente un po’ mi rode il culo.
Eppure, mentre guido verso casa, so che Stefano ha ragione.
Che con i dischi non si guadagna abbastanza per fare un album con un budget più alto, che bisogna inventarsi sempre una nuova alternativa per arrivare a fine mese.
Che tutto quello che ho ottenuto con Musicraiser se ne andrà in ufficio stampa, merchandising, bollini SIAE, stampa CD, grafiche, video e foto varie, venderò solo i dischi ai concerti, suonerò e poi partirà tutto daccapo. Lo so.
Che tutto quello che sto facendo non è abbastanza, ma almeno ci sto provando.
Che non potrò rilassarmi dopo le registrazioni perché partiranno i live.
Che sono sola a fare un lavoro di una squadra.
S O L A.
Ma voglio essere ottimista.

“Come va con l’album?”

La domanda più gettonata dell’ultimo periodo.
Spero vada bene. Le ho sviscerate così tanto queste canzoni che ormai ho perso la giusta distanza. Va che dei giorni mi par di non sapere più cantare, sono sotto a una lente d’ingrandimento gigantesca che esalta tutti i miei difetti e mi ripeto ridendo “Ma faccio così cagare?” e dei giorni non riesco nemmeno a rendermi conto di quanto sto crescendo ascoltandomi e riascoltandomi.
Provo a fare cose che non ho mai fatto in dieci anni di lezioni di canto. Francamente? Ci sto provando. Non so se sia giusto o sbagliato. Lo dirà il tempo.
Lo studio è una palestra, sto buttando il meglio che ho.

Di fianco a me, spalla contro spalla, ho un produttore antifragile. Siamo stanchi entrambi, ma ogni volta che torno in studio mi ricordo perché ho scelto di lavorare con lui: perché ha passione, perché non molla, perché è un onesto, nei giorni in cui un take non va, in cui manca qualcosa o bisogna cambiarla completamente e allora partono i silenzi o le bestemmie a scena aperta, nei giorni in cui basta aggiungere un’allegra fischiettata per svoltare un brano o quando senti che fuori cantano la tua canzone.
Se uno allenta la corda, l’altro la tira. E si rimane in equilibrio.

Spesso mi dimentico che la musica è qualcosa di magmatico, lunatico. Il NoShoes è il posto dove ho riso e ho pianto di più. Dove ho amato follemente quello che stavo facendo o ne avevo persino la nausea.

“Questo è tipo il km 30 alla maratona. Ovvero il vero muro. Se passi il km 30, poi chiudi i 42. Tutti si piantano attorno al 30. Ora tu sei allenata, e sai bene che la fatica è molta. Magari rallentando un attimo, non mollando, la maratona la porti a casa”

La solitudine colpisce le persone che meno la meritano nei momenti in cui meno la meritano. Ma quando la vivi capisci una cosa: che non sei la sola a provarla in quell’istante.
Non vi dirò che è una vita facile, ma è la vita che mi rende libera.
E’ rischiosa la vita di chi non si accontenta e non ci si racconta palle? Hai voglia.
E’ sempre meglio dell’anno prima, in cui ero in un ufficio, in una casa, in una città in cui credevo di stare bene? Sì.
E’ stata un’estate pazzesca, in cui ho suonato-visto cose-conosciuto gente più che ho potuto? Diamine, sì!
Siamo in ritardo con l’uscita? Oh, sì. Ma uscirà come vogliamo.
E allora.
Le cose belle hanno bisogno di tempo.

Epilogo.
Il prossimo album vorrei farlo dark. I bassi alla Joy Division, la batteria elettronica, flanger, chorus, delay. Ho già in mente le atmosfere“.
“Allora bisogna ascoltare i She Wants Revenge. Sonorità dark-wave ma in chiave moderna, evitando di fare alcune merdate indie che si vedono in giro oggi”.
“Oh, bisogna finire questo e già parlo del prossimo. Ho dei problemi seri”.

Sì, è la verità. Sono malata in testa, non sono normale.
Voglio finire questo disco. Ho vive speranze che possa piacere. Penso al prossimo album.
Una che ha l’evidenza davanti agli occhi eppure vuole continuare a suonare in Italia non è normale.
Eppure.
Pazza e recidiva.

“Ma la cazzata l’ho fatta l’anno scorso quando ho iniziato Antifragile o prima?”.
Mi rispondo da me.

[Ph: Matteo Sandi]

10×1 “Happy mistakes. Perché ogni errore è una verità svelata”, Antifragile

È molto importante fare errori. Molto, molto importante. Se non ne avessi fatti non sarei l’uomo che sono oggi. (David Bowie)

19 luglio 2016
Registrazioni backing vocals “Parole al vento” (voci guida)

Elisa (nell’altra stanza – davanti al microfono, tra sè): “Credo di aver appena fatto una cazzata”.
Stefano: (sala mixer – comunicazione al talkback): “Hai appena fatto una cosa bellissima, anche se era uno sbaglio”.
Davide: “MAIUNAGIOIA”.

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Una piccola gioia. (Ph: Matteo Sandi)

“Parole al vento”, una delle canzoni di Antifragile, è frutto di una serie di accordi sbagliati al pianoforte. Solitamente compongo con la chitarra, ma il pianoforte o il basso mi danno la possibilità di sperimentare nuove vie che solitamente non sceglierei, e la cosa mi intriga da sempre parecchio.
Non sento la responsabilità di seguire delle regole precostituite non essendo il mio strumento principale, e questo mi rende più libera mentalmente.

Lo spunto dell’incipit, ovvero l’errore creativo (come lo definirebbe Gianni Rodari) o l’happy mistake (come l’ha definito Brian Eno) come nuova opportunità mi ha spinto a fare un po’ di ricerca sull’argomento, ovvero come vengono considerati gli errori nella musica, e di conseguenza nella vita.

Digitando “errori nella musica” su Google escono una serie di risultati che mettono solo in luce l’aspetto negativo di un errore, e questo dà già a pensare sul tipo di approccio che abbiamo nei confronti di un elemento inaspettato e incontrollato.

Se la fortuna e un po’ di collegamenti mentali accomulati negli anni non mi avessero aiutata, la mia ricerca sarebbe finita qui e chiuderei l’articolo dicendovi che un errore è penalizzante e non dovete farne mai, e invece signori… Di errori dovete farne molti. Perché?

1. In ogni errore giace la possibilità di una storia. (Gianni Rodari)

Nella “Grammatica della Fantasia” Gianni Rodari analizza l’errore creativo, soffermandosi sui refusi dei suoi pezzi battuti a macchina e degli errori grammaticali dei bambini.

Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di scrivere “Lamponia” per “Lapponia”, ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l’apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia. Se un bambino scrive nel suo quaderno “l’ago di Garda”, ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo “lago” importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia. Un magnifico esempio di errore creativo è quello che si trova, secondo il Thompson (“Le fiabe nella tradizione popolare”, Il Saggiatore, Milano 1967, pag. 186), nella “Cenerentola” di Charles Perrault: la scarpina della quale, in origine, sarebbe dovuta essere di “varie” (una sorta di pelliccia); e solo per una fortunata disgrazia diventa di “vere”, cioè di vetro. Una scarpina di vetro è sicuramente più fantastica di una qualunque pantofoletta di pelo, e più ricca di seduzioni, anche se figlia del calembour o dell’errore di trascrizione.
La stesura di un testo, o l’esecuzione errata di un accordo può portare a una soluzione più affascinante rispetto a quella pre-intesa.
Ecco che qui l’errore è un percorso laterale, una creazione autonoma di cui ci si serve per assimilare una realtà sconosciuta.

2. L’errore può rivelare delle verità nascoste. (Gianni Rodari)

Ridere degli errori è già un modo di distaccarsene.
Curiosamente Susan, mentre stavano andando al concerto dei Daughter qualche giorno fa, in maniera assolutamente casuale ha espresso due concetti “rodariani”, ovvero che per definire una cosa bisogna conoscerne il suo opposto, e che non esistono sbagli, ma scelte che noi consideriamo migliori rispetto ad altre alternative.
Così come in un testo una parola giusta esiste solo in opposizione alla parola sbagliata. Rodari cita spesso la creazioni di “binomi fantastici“, due parole di cui sfruttiamo l’errore (“serpente bidone” al posto di “serpente pitone”) o di un’unica per ricavare una storia fantastica.

Anche qui, sbagliando s’impara, dice un vecchio proverbio. Uno nuovo potrebbe essere che sbagliando s’inventa.

3. Ogni errore è un’opportunità nel jazz. (Stefon Harris)

Alla TED conference del 2011, il vibrafonista statunitense Stefon Harris spiegò, con l’ausilio della sua band, che ciò che può sembrare un errore non è altro che un’opportunità.

Oltre a un’esibizione musicale e una dimostrazione tecnica della sua osservazione, nel video Harris mette in evidenza come una nota suonata dal suo pianista possa essere percepita come un errore e soprattutto, come questa nota “stonata” possa invece diventare una melodia. Il punto del suo discorso è che in generale molte azioni vengono captate come un errore solo perché noi non reagiamo nella maniera opportuna.

Fonte: http://autori.fanpage.it/nella-musica-come-nella-vita-non-esistono-errori/

4. Onora ogni tuo errore come un’intenzione nascosta (Oblique Strategies, Brian Eno e Peter Schmidt)

Rockit riprende alcune dichiarazioni di Brian Eno sulla creazione musicale contemporanea e degli effetti negativi che il massiccio uso di tecnologia può comportare.

La tentazione è di levigare ogni singolo dettaglio. Quando si ascolta una cosa per più e più volte, e magari c’è una parte della batteria che è leggermente meno precisa, allora la si sostituisce con un’altra. L’effetto immediato è di peggiorare quella parte: senza accorgertene tu stai gradualmente omologando l’intera canzone anche se ogni singolo ritmo, o ogni singola parte di chitarra, ti sembrerà perfetta.

Eno prova a spiegare che secondo lui i cosiddetti “happy mistakes”, ovvero gli errori felici capitati per caso all’interno di un brano e che hanno involontariamente suggerito nuovi modi di suonare e nuovi arrangiamenti ai musicisti che li hanno commessi, siano molto importanti per dare la giusta personalità ad una canzone.

Nel 1975 il produttore ed il pittore Peter Schmidt aveva inventato un set di carte intitolato “Oblique Strategies”, nato con l’obiettivo di aiutare gli artisti alle prese con un blocco creativo. Ogni carta contiene un consiglio per superare tale impasse e uno di questi è appunto “Onora ogni tuo errore come un’intenzione nascosta”. Queste carte vennero utilizzate in molte delle sue produzioni, dai Talking Heads a David Bowie (nello specifico “Sense of doubt“, contenuta in “Heroes”).

5. Un errore può diventare arte. (Glitch Art/Glitch Music)

Avete presente i monitor dei videogame o dei tabelloni ferroviari quando, per un errore di sistema, vanno in tilt e tutto ciò che si vede sono dei puntini colorati in movimento frenetico?
Il termine tecnico è glitch e da questi errori nasce la glitch art.


GLITCH #03 – EXHIBIT ALPHA (2001)

Ant Scott dal 2001 ha fatto dell’imperfezione digitale un fattore estetico realizzando dei lavori ottenuti attraverso la forzatura del sistema e il suo conseguente blocco. Al glitch si rifà, inoltre, anche un particolare tipo di musica, la glitch music appunto, che spazia dall’elettronica all’ambient e che consiste nel fondere frammenti musicali con piccoli rumori e altri “errori” acustici, il tutto ritmato nuovamente. Tra gli esponenti Autechre, Fennesz e Aphex Twin.

La cosa interessante è che Ant Scott ha colto una cosa presente e riconosciuta e ne ha ribaltato il punto di vista, ergendo un’anomalia ad arte.
Ha fatto di un’errore una nuova opportunità.
Ha svelato una verità nascosta.
Ha creato una nuova storia.