4×01 “Sabotaggi”, Antifragile

Se dovessi scegliere un verso che mi rappresenta di più nell’album in lavorazione, sarebbe sicuramente “Lorenzo, o come tutti dicean Renzo/ studiava di notte con l’ansia/ di non essere mai abbastanza”.

A parte il riferimento ai Promessi Sposi del trio Lopez-Marchesini-Solenghi di cui sono letteralmente malata (un altare ad Anna Marchesini, subito), “Renzo e Lucia” è la storia dei due personaggi manzoniani trasportati al giorno d’oggi. Mi sono domandata: come potrebbero vivere? Che mestiere potrebbero fare? Chi sarebbe il Don Abbondio della situazione? E soprattutto, vorrebbero ancora sposarsi al giorno d’oggi?

Nel mio testo Renzo è un “jazzista di un certo livello e modesto impiego” (fa due lavori, cassiere in una pizzeria e garzone in una salumeria) mentre Lucia è “ballerina di seconda fila” che per arrotondare fa la commessa. Vivono in un piccolo appartamento e sono troppo impegnati a sopravviversi per capire se si amano davvero. Sono due persone che vogliono/volevano intraprendere una carriera artistica, ma nell’attesa di sfondare si sono trovati un’occupazione diversa da quella che desideravano.

Non ho voluto esplicitare per quale motivo i due non riescano a guadagnarsi da vivere rispettivamente come musicista e ballerina, i motivi sono molteplici, dalla sfortuna a difficoltà di varia natura, al motivo che preferisco in questo periodo.

Renzo e Lucia sono due SABOTATORI. Un po’ come me.

“Sopra o sotto?” (cit.)

Avete presente il film “Inside Llewin Davis – A proposito di Davis” dei fratelli Coen? Per chi non l’avesse visto racconta la storia di Llewyn Davis, musicista folk di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile. Davis è un antieroe puro come tanti altri personaggi dei Coen, non passa ai provini perché non è un leader, tergiversa, si vede sfilare davanti colleghi che reputa meno bravi di lui.
Anche Llewyn Davis fa parte della grande categoria dei SABOTATORI. Scappa, sceglie di non scegliere.

Ho sempre promesso di essere estremamente sincera sul come mi sento in questo periodo. In queste settimane mi sono fatta prendere letteralmente dal panico, influenzare da migliaia di fattori esterni. Dal fatto che non ho un’etichetta discografica, che non ho un booking, che dovrei fare più gente ai concerti, che non ho network etc.etc. E spesso faccio così: parto con grande entusiasmo e poi quando le cose cominciano a farsi tangibili comincio a vedere in ogni occasione un ostacolo, una difficoltà, qualcosa che mi farà stare male. Mi spavento.
Il mio istinto di autoconservazione comincia a pensare che le cose sono sempre più difficili di quello forse sono, che devo prepararmi al peggio. Ho paura di sprecare tempo e fiato, e il paradosso è che nel momento stesso in cui lo penso sto effettivamente sprecando tempo ed energia in questo tipo di macchinazioni.

Da “La paura più grande” post lungo sul blog di Zerocalcare, uscito il 7 Aprile 2015

Sono una SABOTATRICE quando scelgo di non scegliere. Quando devo per forza complicare il gioco. Quando opto per una cosa che non mi piace, perché posso spartire il mio fallimento con la costrizione sociale. Ed è molto più facile.

Con Stefano siamo a 5 brani su 13 pre-prodotti. Nel gergo dei musicisti la pre-produzione è come la brutta copia di un tema: dopo aver messo a posto la struttura della canzone cominci a capire che ritmo potrebbe avere la chitarra, che groove la batteria, il basso. Si sgrezzano gli arrangiamenti.
Ho passato due giorni tentando di vedere il marcio anche lì. E poi mi sono accorta di una cosa: giorno dopo giorno, Stefano butta giù le batterie e i bassi e mi faccio contagiare dalla sua esperienza e bravura. Comincio ad avere idee sugli arrangiamenti, una visione d’insieme che mi mancava. Sulle batterie, io che con la ritmica non sono mai andata d’accordo, ma robe brutte tipo che a momenti non so cosa sia una cassa e un rullante (buuuh).

Tra tanti aspetti, due cose in musica ti fan capire se sei cresciuta: se riconosci gli errori tecnici e se cominci a “sentire” quello di cui prima non ti accorgevi. La crescita è accorgerti di quello che prima non percepivi.

Mi sono resa conto di essere una SABOTATRICE. Ho tanti amici come me, e strano a dirsi, sono le persone più intelligenti e dotate che io conosca. Sono persone che hanno grandi difficoltà ad amministrare la loro forza, e si perdono. Che spreco, direbbero i più.
Io no. E’ estremamente difficile andare contro noi stessi, ma riconoscerlo intanto è un bel primo passo. Buttatelo fuori, fate un bel coming out e poi prendetevi un bel gin tonic con un amico. Che di gente-ruspa sgrammaticata ne è pieno il mondo, ma voi servite veramente a qualcosa.

3×01 “Domani inventerò”, Antifragile

“Ai confini della noia, ci sono tonnellate di idee. Io non guardo la tv, non gioco con gli amici. Lascio semplicemente che il tempo scorra”

1 giugno 2015

Padova, esterno notte. Terrazza di un grande palazzo. Campo lungo. Si intravede in controluce una ragazza  seduta per terra appoggiata ad muro.
Controlla il telefono, osserva il cielo in lacrime.
Una chiamata persa. E’ Chiara, anima affine. Stessa indole, stesse paranoie, stesso modo di vedere le cose.

Nello stesso momento

Città imprecisata, esterno notte. Particolare su una mano che infila una chiave in una toppa. Si allarga l’inquadratura e si vede un uomo di spalle, un po’ ricurvo. PP sul suo volto: lo sguardo è un misto tra il dolente e il rassegnato.
“Chi cazzo me lo fa fare? Qua chiudo tutto”

25 settembre 2015

“Siamo riusciti a buttare giù tutte le chitarre guida, ad eccezione di questo pezzo. Come l’hai accompagnato suona bene, ma sarebbe un arrangiamento troppo scontato… E mi sto scervellando da giorni per capire che carattere dargli per non cadere nel banale. La cosa bella di questi momenti d’impasse è che poi l’intuizione arriva tutta in un botto”
“Speriamo”

1 giugno 2015

“Ohi, ti ho chiamato e scritto prima… Esci stasera?”
“Nel credo di essere nel mood adatto, Chiara…”
“Ehi, che c’è? Qualcosa che non va?”
“L’album non si fa… Sono… Non riesco mai a costruire niente. Distruggo sempre tutto. Non faccio altro che allontanare le persone. Non ho più una casa! Non so che lavoro fare e adesso pure questo album non si fa. Non so cosa voglio, o meglio lo so ma mi cago addosso. Ci ho provato un sacco di volte a ripartire, ma ogni volta succede sempre qualcosa e non ce la faccio più Chiara, credimi. Ogni volta si aggiunge sempre qualcosa, e sono stanca. Non ho più forze, questa cosa della casa mi ha letteralmente prosciugata”
“Dai, vengo subito. Dove sei? Passo”
“No, ti prego. Mi conosco, non sarei in grado di parlare”
“Sicura?”
“Sicura”
“Ok… Allora stiamo un po’ al telefono… Prima cosa: cosa mi dici sempre tu? Una cosa alla volta. Nel bene e nel male le cose si risolvono sempre.

La ragazza fissa il cielo. La voce di Chiara è ferma e decisa. Se avesse avuto un bisturi in mano, in quel momento avrebbe eseguito un’incisione perfetta

So che non posso fare e dire nulla per risolvere i tuoi problemi. Ma posso raccontarti una storia. Oggi sono passata in libreria e ho letto un libro per bambini. Si chiama “Domani inventerò” ed è la storia di un orso blu che deve fare un sacco di cose ma le rimanda sempre a domani, perché… Perché ha paura, non ha tempo, insomma si dà un sacco di giustificazioni. E alla fine dice

“Al confine di ogni confine c’è l’ignoto. Se salto, dove andrò? E se c’è qualcosa di brutto? O di sbagliato? E se c’è qualcosa di nuovo?”

Volti pagina e

Spoiler title
l’orso diventa giallo. Finalmente non rimanda a domani, salta.
Credo che la cosa migliore sia decidersi a saltare. Vivere comunque. Sì, è un periodo di merda. Ma per quanto lungo è circoscritto, Eli. E succederà ancora? Sì. Ma sarai cambiata tu, e lo affronterai in maniera differente. So che saprai sistemare le cose.”

Sistemerò le cose.

Ricordo esattamente cos’ho fatto dopo. Mi sono alzata in piedi, sono scesa e mi sono messa a letto.
“Domani inventerò è la metafora della vita artistica. Ogni giorno si deve inventare per vivere. Ci si sente bene solo quando si crea. Cosa potrei fare se fossi felice? Se non posso esserlo, almeno lo immagino”.

Ho preso il mio blocco appunti e ho scritto i primi versi

Non mi sdraierò mai più sul letto / Non piangerò al pensiero che mi sto perdendo tutto
Domani inventerò / Avrò una casa al mare / Avrò da lavorare / E scriverò canzoni allegre / Domani inventerò… Sistemerò le cose
Giovanni Ribisi, non ti voglio mortificare, vergognati (cit.).

1 ottobre 2015

Domani inventerò” ha trovato la sua chitarra guida, merito anche di Cat Power. E’ un testo importante. E’ dedicata a tutte le persone che hanno un’idea di giustizia impossibile nel mondo in cui vivono e si rifugiano nell’immaginazione. Alle persone oneste e baciate dalla sfiga che ogni giorno cercano di vivere con i frutti della loro inventiva. A chi è si è smarrito. A chi si sente (o si è sentito) solo, inadatto, impotente.

Domani inventerò” è un bellissimo libro di Agnese de Lestrade illustrato da Valeria Docampo. Leggetelo: la seconda cosa che farete è procurarvi subito dopo “La grande fabbrica delle parole”.

C’è un paese dove le persone parlano poco. In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele. Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio. The story of my life, insomma.

Ogni volta che mi sveglio e penso a come guadagnarmi da vivere, ogni volta che una cosa non va, ogni volta che mi sento derisa o incompresa  ogni volta che un acuto non parte o perdo il tempo, ogni volta che non posso esserci, ogni volta che una frase mi esce sbagliata, o per troppo amore non riesco a pronunciarla, penso che il mio emisfero destro mi aiuterà. Me lo ripeto in testa: sistemerò le cose.

2×01 “Questa bestia nera in me”, Antifragile

15  – 22 settembre 2015

Lo so, dovrei farmi più selfies di me che sto in studio di registrazione, ma in realtà tempo per cazzeggiare ce n’è stato davvero pochissimo, e vi dirò una grande verità: detesto farmi gli autoscatti. Mi imbarazzano a morte ma soprattutto non so farmeli! Prima di uscire un minimo decente devo smerigliarmi la faccia per un’ora e, pigra come sono, molte volte finisco per fotografare le mie chitarre (<3). Riconosco però che essendo Facebook una rete generalista a mò di Rai e Mediaset, un primo piano buca molto di più rispetto a un link intelligente e scavalca gli algoritmi di posizionamento, e perciò per esigenze di copione (cose importanti tipo livedischisessions etc) ogni tanto vi beccherete me fare le cose più inutili, tipo sorridere.
MA NON DIVAGHIAMO.

In queste due settimane Stefano e io stiamo ultimando la prima primitivissima parte in cui capire che taglio dare ai vari pezzi.  Ogni volta il Maestro accende il suo POD e proviamo per ore a capire come sostituire le guide con accompagnamento da chitarra balneare a favore di riff (questi sconosciuti), ritmiche, intenzioni differenti. Siamo stati quasi a rischio Jimi Hendrix in un arrangiamento, peccato non sia passato. E’ fantastico e al tempo stesso allucinante. Ce ne stiamo come due autistici senza parlarci per interminabili minuti e proviamo qualsiasi cosa ci passi per la testa alla tastiera e poi ci confrontiamo. A volte l’intuizione arriva subito, a volte ci stai un pomeriggio e poi distrattamente ti esce l’idea migliore della giornata. Una cosa che ho imparato è che non bisogna affezionarsi troppo alle prime e solo alle proprie idee, perché spesso limitano la ricerca. E’ una rogna cercare il giusto giro dopo 8 ore, ma ne vale la pena.
Ora di canzoni ne mancano solo due, e da come stanno evolvendo le cose verrà fuori una cosa (lo dico piano perché così almeno non capite bene e non ridete forte) alternative rock. Ho sempre ascoltato tonnellate di album del genere, dai Garbage a Pj Harvey, Tori Amos, Fiona Apple, Hole… fino all’ultima scoperta suggerita da Stefano, Juliette Lewis, ma non ho mai creduto di poterlo fare realmente. Ed è una cosa assai strana. Mi spiego meglio.

Tutti pensano che Jimi Hendrix fosse un tipo poco attento alla tecnica e fan del “buona la prima!”, in realtà cercava il suono perfetto fino alla paranoia, sfinendo i suoi stessi compagni dell’Experience nelle lunghissime sessions di registrazione.
Che pezzone. Non avete mai ascoltato l’album dove è presente questa sberla? Male, malissimo.

Sto suonando in una maniera completamente diversa da quanto fatto in questi anni, il che mi fa sentire molto incapace da un lato pratico e dall’altro gasata ai massimi. E’ come se stessi imparando a suonare la chitarra di nuovo. La stessa cosa per il cantato. Sono partita con un’impronta molto rock e cantando in inglese, poi sembrava che non fosse il mio genere e ho ripiegato sull’acustico, che tra l’altro era ed è molto più facile da portare fuori nei locali. Il risultato è aver creato una comfort zone in cui so di fare bene, ma escludo a prescindere una gamma di suoni che magari darebbero la spinta più. Perchè? Bella domanda. Vivo questo momento di RI-creazione sdoppiata tra il “Wow! Suonerà da paura!” a “Oddio, saprò renderlo davvero live? Saprò cantarlo con la giusta intenzione e grinta?“.

comfort_zone

A volte la comfort zone è peggio della friendzone.

Diamo tempo al tempo comunque. Ci sarà il tempo per capire come promuovere l’album, come trovare date, come vestirmi e truccarmi, ma per ora mi preoccupo di suonare bene. E’ come imparare a parlare di nuovo, o meglio, imparare una lingua straniera. Ci vuole un po’ di esercizio, dicono.

La cosa che mi sto ripromettendo da quando ho iniziato è di essere il più sincera possibile, e di prendere tutto come un’occasione buona per imparare. Sono sempre super severa con me stessa, ma ci sta, l’importante è che le incertezze non diventino limiti invalicabili.
E dopo questa chiusa alla Raffaele Morelli, vi saluto, alla prossima!

Ps. Domani controllate il blog, ci sarà una bella sorpresa!

1×01 “Che cosa ti emoziona?”, Antifragile

Luglio 2015
18 canzoni in tutto. Le guardo, le risuono, controllo gli accordi, segno i bpm, sistemo tutti i testi.
“Cosa potrebbe piacere di più? Che cosa potrebbe colpire di più? Quali sono le canzoni più belle?”
E’ come chiedere a una madre che figlio preferisce. Per me sono tutte importanti, alcune ammetto ancora un po’ acerbe, ma hanno tutto il loro significato, il loro perché. Se ne scelgo una e ne scarto un’altra mi sembra di fare un torto a me stessa e sono punto a capo.

Questo perché in Antifragile verranno inserite dalle 8 alle 10 canzoni. E la bastiancontrario che è in me mi dice di non fare la fighetta mainstream ma di scegliere le più sincere, la marchettara invece sostiene di scegliere con malizia. Perché avrò un solo colpo in canna e devo mirare bene.

Ce ne sono alcune scritte qualche anno fa, come “Scampo”. Mi ricordo bene dov’ero quando ho composto i primi versi. Ero in un appartamentino all’Arcella, notte fonda, e la mia compagna di stanza non c’era. Stavo dormendo e mi svegliai di soprassalto per un rumore dalla strada.
“Marta?”
Silenzio.
Marta non c’era, c’erano le sue lenzuola senza una piega e le sue scarpe ai piedi del letto.

Te ne sei andata senza dirmi più niente / Hai pure lasciato le scarpe in salotto

Presi il blocco appunti e cominciai a buttare giù le prime righe, senza pensare troppo.

Sei tornato e mi hai riempita di botte / Tante ma tante che ne ho perso il conto

Wow. Una storia che si scrive da sola. Ovviamente non stava parlando di me, nè di Marta. Da un’immagine, dall’incipit è uscita così. Una donna vittima di violenza domestica.

Amore mio non c’è via di mezzo / Amore o odio e niente in mezzo

L’ultima nata è invece “Non mi somiglio per niente”. Vergata sotto la stessa cerata coi girasoli che ha ospitato Maddalena, Waterboarding, Offerta Libera.

E già il titolo dice tutto. Quando ero ragazzina giocavo a fare i conti con quello che avrei fatto a una data età. A 29 anni mi vedevo realizzata lavorativamente, con una casa, forse sposata (ma non è mai stato necessario), comunque in una posizione abbastanza stabile. Gli anni a venire hanno spazzato via tutte queste convinzioni, e in più ci si mette quel certo peso sociale che una donna “a una certa” se non si sposa e fa figli è per forza una stronza arrivista, e se si sposa e fa figli lasciando il lavoro o chiedendo il part-time è una sottomessa. Mi son divertita a inserire una serie di frasi fatte che si sentono da tv, giornali, annunci online:

Indipendente, solare, colta single per scelta, automunita / Da 110, mamma felice donna in carriera, donna fallita / Sposata presto, sottomessa / Un po’ puttana, un po’ madonna / Misteriosa, posata, strana traditrice recidiva

19 agosto 2015 – 24 agosto 2015
Stefano ascolta attentamente tutte le canzoni. Alla fine nella rosa finale ne entrano 13, puramente per una questione di “maturità compositiva”. Alcune sono ancora delle bozze e vorrei ragionarci ancora un po’ su. Buttiamo giù le guide a tempo di chitarra e voce che poi verranno “vestite” dagli arrangiamenti.
“Direi di lavorare su tutte, poi vediamo in corso d’opera cosa tenere e cosa no” suggerisce Stefano “Adesso è solo una questione di impasto”

Mi fa sempre sorridere pensare alla musica come al cibo, ma molti dei termini che vengono utilizzati in fase di studio, arrangiamento, prove e quant’altro vengono presi a prestito dall’ars culinaria. Se fossi Pico Rama o Yari Carrisi (gli amanti di Pechino Express mi capiranno) vi direi che ci sta perchè la musica è il cibo dell’anima, ma non sono così illuminata, perciò accontentatevi di sapere che ogni musicista cadrà nel tranello della metafora gastronomica. O sessuale, altre non credo di averne sentite.

Ecco sì, un bell’album è un piatto, se vogliamo. Devi saperlo cucinare e condire nella giusta maniera, inserendo sì un sacco di sapori e retrogusti, ma tutti ben dosati, con la giusta preparazione, presentazione e temperatura. Basta un niente per rovinarlo. E un bel piatto resta sempre un evergreen che non invecchia con gli anni.

“C’è un’anima abbastanza distorta e un’altra molto acustica in queste canzoni, bisogna trovare il giusto equilibrio. E il giusto equilibrio si trova ascoltando. Diamoci qualche settimana di tempo e ascoltiamo quello che potrebbe essere affine a quello che abbiamo in testa. Ascoltiamo quello che ci emoziona e poi confrontiamo i nostri ascolti”

“Che cosa ti emoziona?”

E’ come se qualcuno avesse spezzato una catena. Mi si è aperta una voragine dentro: ogni giorno facciamo delle cose che non ci piacciono perché costretti, perché il fine giustifica i mezzi, perché le cose che amiamo non ci danno abbastanza pane. E allora le lasciamo lì, vivendo un’80% di giornata di merda e un 20% di estasi. Ma quello schifo lo sentiamo, lo annusiamo, ci entra così tanto nella pelle che il resto sembra inarrivabile, inaccessibile.
A me quelle parole sono sembrate un’improvvisa ventata di libertà, di quella che avevo chiuso nel cassetto e che ora prende aria, di quella che ti fa lamentare di meno e ti rende meno stupida, di quella che rende la vita e il mondo un posto un po’ meno spregevole.

Oggi si torna in studio, oh yeah!

Antifragile, Diario di Bordo – Pilot

Partiamo dai fondamentali. Sono una persona molto timida, timidissima. Entrare nel mio mondo è difficile, mi imbarazzo per qualsiasi cosa.
Ovviamente ho scelto di voler fare la cantautrice, mettendomi sopra un palco e spogliandomi (metaforicamente) completamente. Come se un amante dello sci nautico prendesse casa a Courmayeur, o se Massimo Boldi scoreggiasse in una scena di un film di Bellocchio. Sono sicuramente due immagini suggestive, ma due domande me le farei.

So già come uscirà questo post: asciutto, un po’ discontinuo, coi tempi verbali a caso. Ma va bene così. Un conto è fare un webinar in cui parlo di crisi manageriali a 20 sconosciuti e contemporaneamente penso a che fine ha fatto Wendy Windham, un conto è trasferire una cosa che ha priorità 1000 dalla mia testa al mio amico più caro. Lo faccio pochissimo, e forse sbaglio.
Comunque parlerei esattamente così: segmentata, tesa, eppure estremamente vera.
Questa qui è l’Erin che la rational Elisa di solito nasconde per difendere.

1986 – 1999
Non è mai stato facile presentarmi per quella che sono. Il più delle volte perché non andava bene. E non sono mai stata una campionessa del “checazzomifrega“. Dacchè ho memoria ho sempre voluto fare musica, da quando prendevo lo stendino e lo usavo come chitarra farfugliando un inglese maccheronico. Ma non mi sentivo mai abbastanza capace. Mai abbastanza brava a cantare e a suonare. E il contesto attorno a me mi faceva abbastanza desistere.

La musica non è un lavoro. Uno su mille ce la fa. Ci vogliono i contatti. E poi come vivi?
Il conservatorio non è una scuola.
Allora, pensavo, la musica non è per me.

2000 – 2008
Non fu difficile imparare le lingue, compilare i mastrini, studiare diritto, pensare di fare la guida turistica. Studiavo chitarra autodidatta e un po’ no, scrivevo le mie canzoni, ma mi vergognavo, non lo dicevo a nessuno. Non ci credevo troppo. Non fu difficile fare la ragazzina beneducata. Non fu difficile diplomarmi e poi laurearmi pensando di diventare una sceneggiatrice una giornalista. I bei voti a scuola e la promessa di un lavoro promettente facevano stare tutti tranquilli, e quando mi veniva la voglia sotterranea di cantare e mettere su un gruppo la ricacciavo indietro con tutta la mia forza.

Non sei abbastanza capace.

2009 – 2012
Niente da fare. Mi sveglio alla mattina e penso alla musica. Vado a dormire e penso alla musica. L’inquietudine mi cresce dentro come un cancro. I testi e le melodie colano dappertutto. Per quanto le butti fuori dalla stanza, rientrano da sotto la porta e dalle finestre.
“Mamma, cosa devo fare, ammazzarmi per non pensarci?”

Non sei abbastanza capace, rimettiti a studiare questa cazzo di musica.

2012 – 2015
Metà lavoro serio, metà studio in accademia. Così non posso dirmi che non sto facendo nulla. Sto studiando perché ancora non sono pronta, perché se esco fuori devo essere perfetta e inattaccabile. E lavoro perché così ho una sicurezza economica. Magari suono in un gruppo, così non suono sola.
Ancora non va… Perché non sono io.
Perché metà lavoro serio non è veramente serio e mi succhia un sacco di energie. Perché studiare senza mettersi alla prova è tutta una scusa, e non accetto il fatto di poter sbagliare. Studiare è il mezzo, non il fine.

Per tre mesi mi sveglio puntualmente alle tre di notte e scrivo una canzone al pianoforte. Tre mesi di viaggio in tempesta, col mare contro, con il vento in faccia. Sola. Eppure nascono una ventina di canzoni.
Non sono sicura di me, ma le canzoni mi sembrano interessanti. Devono uscire, va oltre me.

Nel 2013 incontro Stefano Pivato, nome che puntualmente da tempo mi arriva all’orecchio. Musicista degli estAsia prodotti dai CSI, poi co-fondatore del NoShoes Recording Studio di Arino di Dolo, fonico, produttore artistico, la schiena più fotografata d’Italia. Con lui e La Cantina dei Bardi registriamo l’EP “Terzo Tempo“. Un anno dopo, in un’ora di pausa, con tutto il coraggio che ho, gli chiedo se vuole ascoltare le mie canzoni da sola, e se gli piacerebbe lavorarci su.
Dopo tante mail non lette, telefonate senza risposta, consigli (solo consigli!) mai dati da tanti addetti ai lavori, Stefano ascolta. Qualcuno MI ascolta. E mi risponde di sì.

27 luglio 2015
Spengo 29 candeline sulla torta, sono temporaneamente senza casa e senza lavoro serio. Ho paura, sono felice, sono terrorizzata, sono entusiasta tutto in egual misura. Ho paura perché mi sento troppo vecchia per mettermi a lavorare a un album e vivere di sola musica (e qualche piccolissima consulenza comunicativa, dai); sono felice perché è quello che sogno da sempre, finalmente l’ho ammesso e lo vivo senza sensi di colpa; sono terrorizzata perché sono senza un soldo; sono entusiasta perché farò qualsiasi cosa per il mio album solista, dal suonare in qualche tribute band per tirare su qualche soldino, dal dare lezioni di canto e chitarra, o vattelappesca. Qualsiasi cosa per mettermi in gioco, imparare e migliorare. Non è tanto una questione di successo, è un’urgenza. Comunque andrà, potrò vivere senza il rimpianto di non averci provato.

Perché ho deciso di tenere un diario di bordo per mostrare come si fa un album musicale? Perché per una volta vorrei condividere quello che mi sta a cuore con lo strumento con cui mi trovo più a mio agio, la scrittura. Perché non son una di quelle che prende la gente per il coppino e le chiede di essere fan a tutti i costi. Non ce la faccio, odio pure gli eventi Facebook. Perché fare un album coprodotto non è una passeggiata, ed essere musicista è ben più che prendere su un microfono e fare la coda per Italia’s Got Talent. E’ sudore, lacrime, dolore, fatica, gioia, passione, liberazione, ossessione. Perché non voglio arrendermi all’idea che per suonare in Italia si debba necessariamente fare un talent o darla via come se non fosse mia.
Ogni appuntamento sarà numerato come le puntate di una serie tv, e questo è l’episodio pilota. Perché un album è una storia con i suoi protagonisti. E a me piace raccontare, per chi ha quattro mesi di pazienza.

Ah, ovviamente l’album si chiamerà Antifragile. La prossima volta forse vi racconterò perchè.

Benvenuti nel mio sito web ufficiale (LOL)

Ci è voluto un po’ ma alla fine ce l’abbiamo fatta! Dopo tanti mesi di lavorazione, ho il piacere di presentarvi il mio primo vero sito ufficiale dove potrete trovare tutte le date dei miei prossimi concerti, la mia discografia, news e nientepopodimenochè la mia biografia aggiornata… Evvai!!!

Sono molto soddisfatta, anche perchè di novità nel calderone per i prossimi mesi ne bollono davvero tante e voglio rendervi partecipi di tutto quello che accadrà, ovviamente per chi avrà piacere di condividere questo viaggio con me.

Ci ho messo tutto quello che potevo ritenere utile più collegamenti a video, foto, audio e gli immancabili “socials”… Ditemi che ne pensate! Conoscendomi, non ci metterò poi tanto a scrivere recensioni di quello che mi piace, qualche consiglio musical-comunicativo (purtroppo faccio anche parte di quella categoria che si fa chiamare social media manager), qualche storia, qualche stupidata nonsense.

E quindi… Buon giro! Aspetto i vostri commenti/consigli eh ;) Tutto quello che vedete è anche opera di Antonio, senza di lui questo sito non avrebbe mai visto luce! Grazie grazie grazie.

[Ph: Cristina Checchetto]

 

Online il nuovo videoclip de La Cantina dei Bardi, “Faccia di Caramella”

Da oggi è finalmente online il nuovo videoclip realizzato con La Cantina dei Bardi, “Faccia di Caramella”!

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza alcuni preziosi contributi:

  • il Birrificio Bibione-Maccarello, che ci ha fornito le sue gustosissime birre artigianali per le esterne;
  • Diego Socal di Mark Out Video, che si è occupato di riprese, colore & montaggio;
  • Valentina Vanin, che ci ha fatto da TruccAttrice;
  • la sorella di Valentina, che ha offerto una casa da urlo, piena di dischi e libri (insomma la mia casa ideale) e non paga ci ha pure offerto il pranzo;
  • tutte le comparse che si sono resi disponibile a una giornata di caldo.

La regia è mia. Volevo una storia che partisse da una situazione di disagio, inadeguatezza. La protagonista vive in un mondo in cui non si riconosce (come lei stessa, del resto) e decide di andarsene, partire. Non è chiaro dove andrà, ma il bosco rappresenta metaforicamente un limbo dove lasciare tutto quello che la lega alla vita precedente per incontrare la musica (rappresentata dall’installazione e dai Bardi sul fiume). Ecco la via di scampo per sopravvivere a un mondo che non le appartiene.

Guarda il video precedente, “Crasi”: